140 anni e non sentirli (prima parte)

09.05.2020

Una strana follia possiede le classi operaie delle nazioni in cui domina la civiltà capitalistica. E' una follia che porta con sé miserie individuali e sociali. Questa follia è l'amore per il lavoro, la passione esiziale per il lavoro, spinta sino all' esaurimento delle forze vitali dell'individuo. Anziché reagire contro questa aberrazione i preti, gli economisti, i moralisti hanno proclamato il lavoro sacrosanto. Io, alle prediche della loro morale religiosa ed economica oppongo le spaventevoli conseguenze del lavoro nella società capitalistica.

I filantropi esaltano come benefattori dell'umanità coloro i quali, per arricchirsi oziando, danno del lavoro ai poveri: meglio sarebbe seminare la peste, avvelenare le sorgenti piuttosto che erigere una fabbrica in mezzo a una popolazione rustica. Introducete il lavoro di fabbrica e addio gioia, salute, libertà; addio a tutto ciò che rende la vita bella e degna di essere vissuta.

E' necessario che il proletariato ritorni ai suoi istinti naturali, che proclami i "diritti all'ozio", mille volte più sacri e più nobili degli asfittici "diritti dell'uomo", escogitati dagli avvocati metafisici della rivoluzione borghese; che si costringa a non lavorare più di tre ore al giorno, a non far niente e a far bisboccia per il resto della giornata e della notte.

Di fronte alla pazzia dei lavoratori di ammazzarsi di superlavoro, il grosso problema della produzione capitalistica non è più quello di trovare produttori e di decuplicare le loro forze ma di scoprire dei consumatori, di eccitare i loro appetiti e di creare in loro dei bisogni fittizi. I poveri fabbricanti devono correre come degli invasati agli antipodi per cercare qualcuno che indossi le loro stoffe e beva i loro vini: sono centinaia di milioni e di miliardi di merce che l'Europa esporta annualmente ai quattro angoli del globo, tra popolazioni che non sanno che farsene. Ma i continenti esplorati non bastano più, occorrono paesi vergini. I fabbricanti europei sognano notte e giorno dell'Africa, di un ipotetico lago del Sahara o di una ferrovia del Sudan. Quante sconosciute meraviglie racchiude il continente nero! Milioni di culi neri aspettano le cotonate per imparare la decenza, le bottiglie di acquavite e le bibbie per conoscere le virtù della civiltà.

Ogni anno, in tutte le industrie, la disoccupazione ritorna con la regolarità delle stagioni. Al superlavoro, micidiale per l'organismo, fa seguito il riposo assoluto, per due mesi o magari quattro. Perché divorare in sei mesi il lavoro di tutto l'anno? Perché non distribuirlo uniformemente nei dodici mesi e costringere ogni operaio ad accontentarsi di sei o di cinque ore al giorno, nel corso dell'anno, invece di fare delle indigestioni di dodici ore per soli sei mesi? Con la certezza della loro parte quotidiana di lavoro gli operai non rivaleggerebbero più, non si batterebbero più per strapparsi il lavoro di mano e il pane di bocca: allora, non più stremati nel corpo e negli spiriti, comincerebbero a praticare le virtù dell'ozio.

Se, sradicando dal suo cuore il vizio che la domina e ne avvilisce la natura, la classe operaia si levasse con la sua forza terribile non per reclamare i "diritti dell'uomo", che altro non sono che i diritti dello sfruttamento capitalistico, non per reclamare il "diritto al lavoro", che altro non è se non il diritto alla miseria, ma per forgiare una legge bronzea che proibisse a ognuno di lavorare più di tre ore al giorno, la Terra, la vecchia Terra, fremente di gioia, sentirebbe un nuovo universo nascere in sé.... Ma come chiedere a un proletariato corrotto dalla morale capitalistica una risoluzione virile?

                                                                                     Paul Lafargue (1880)

                                                                             (fine prima parte)

Gianni Vannini - Blog politico
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