Abbondanza frugale (prima parte)

30.07.2020

Il fallimento dell'obiettivo della felicità per tutti promessa dalla società della crescita obbliga a interrogarsi sul contenuto della promessa stessa. La ridefinizione della felicità come "abbondanza frugale in una società solidale": questa è la rottura proposta dal progetto della decrescita. Una rottura che presuppone che si esca dal circolo infernale della creazione illimitata di bisogni e di prodotti, come pure dalla frustrazione crescente che questa genera, e contemporaneamente che si compensi attraverso la convivialità l'egoismo derivante da un individualismo ridotto a una massificazione uniformizzante. L'abbondanza consumistica pretendeva di realizzare la felicità attraverso il soddisfacimento dei desideri di tutti, ma questo soddisfacimento dipendeva a sua volta da redditi distribuiti in modo estremamente ineguale e sempre insufficienti a permettere all'immensa maggioranza di coprire le spese essenziali. Inoltre, il buon funzionamento del sistema si basa sull'insoddisfazione generalizzata. Come sanno bene i pubblicitari, le persone felici sono cattivi consumatori. Ribaltando completamente questa logica, la società della decrescita si propone di fare la felicità dell'umanità attraverso l'autolimitazione, per realizzare l'abbondanza frugale. Certe forze politiche vedono la soluzione della crisi economica e finanziaria attuale della società dei consumi soltanto nell'austerità, altre soltanto in un problematico rilancio dell'economia. La prima ci porta in un vicolo cieco abbinato a una grande miseria per una parte rilevante della popolazione, mentre il secondo sarebbe una calamità per il pianeta. Cosa ancora peggiore è un programma che combina il rilancio economico e l'austerità. In effetti, lo slogan "sia rilancio, sia austerità" significa il rilancio per il capitale e l'austerità per tutti gli altri. In nome del rilancio, peraltro largamente illusorio, degli investimenti e, totalmente falso, dell'occupazione, si riducono o si sopprimono gli oneri sociali, la tassa professionale e l'imposta sui profitti delle imprese. Si rinuncia a qualsiasi imposizione sui profitti bancari e finanziari, mentre lo scudo fiscale permette ai più ricchi di pagare sempre meno tasse. Contemporaneamente, l'austerità colpisce pesantemente gli operai e le classi medie e inferiori, che soffrono di un abbassamento dei redditi, della riduzione delle prestazioni sociali e dell'aumento dell'età pensionistica. Per completare il quadro e preparare attivamente la mitica ripresa, in nome del "risanamento" dei deficit di bilancio vengono smantellati sistematicamente i servizi pubblici e si privatizza a tutto gas quello che ancora non è stato privatizzato. Si assiste addirittura a una strana e masochistica concorrenza nella corsa all'austerità. Ma non si tratta di quell'austerità virtuosa sostenuta da Illich e che noi preferiamo chiamare frugalità, bensì di un'austerità che priva non soltanto del superfluo ma anche di una parte sempre più grande del necessario. Il tutto per compiacere le agenzie di rating e i mercati internazionali finanziari con cui i paesi indebitati hanno contratto i prestiti. Intanto alcune anime belle, come l'economista americano Joseph Stiglitz, ripropongono le vecchie ricette keynesiane del rilancio dei consumi e degli investimenti per far ripartire la crescita. Ma questa terapia non è praticabile, perché il pianeta non può sopportarla e perché, dato l'esaurimento delle risorse naturali (intese in senso lato), già dagli anni settanta i costi della crescita (quando si realizza) sono superiori ai benefici.

                                                                                                       Serge Latouche (fine prima parte)

Gianni Vannini - Blog politico
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