Ancora quel pericoloso sovversivo... (terza parte)

14.11.2020

L'ambiente umano e l'ambiente naturale si degradano insieme, e non potremo affrontare adeguatamente il degrado ambientale se non prestiamo attenzione alle cause che hanno attinenza con il degrado umano e sociale. Di fatto, il deterioramento dell'ambiente e quello della società colpiscono in modo speciale i più deboli del pianeta: "Tanto l'esperienza comune della vita ordinaria quanto la ricerca scientifica dimostrano che gli effetti più gravi di tutte le aggressioni ambientali li subisce la gente più povera". Per esempio, l'esaurimento delle riserve ittiche penalizza specialmente coloro che vivono della pesca artigianale e non possono sostituirla, l'inquinamento dell'acqua colpisce in particolare i più poveri che non hanno la possibilità di comprare acqua imbottigliata, e l'innalzamento del livello del mare colpisce principalmente le popolazioni costiere impoverite che non hanno dove trasferirsi. L'impatto degli squilibri attuali si manifesta anche nella morte prematura di molti poveri, nei conflitti generati dalla mancanza di risorse e in tanti altri problemi che non trovano spazi sufficienti nelle agende del mondo.

Vorrei osservare che spesso non si ha chiara consapevolezza dei problemi che colpiscono particolarmente gli esclusi. Essi sono la maggior parte del pianeta, miliardi di persone. Oggi sono menzionati nei dibattiti politici ed economici internazionali, ma per lo più sembra che i loro problemi si pongano come un'appendice, come una questione che si aggiunga quasi per obbligo o in maniera periferica, se non li si considera un mero danno collaterale. Di fatto, al momento dell'attuazione concreta, rimangono frequentemente all'ultimo posto. Questo si deve in parte al fatto che tanti professionisti, opinionisti, mezzi di comunicazione e centri di potere sono ubicati lontano da loro, in aree urbane isolate, senza contatto diretto con i loro problemi. Vivono e riflettono a partire dalla comodità di uno sviluppo e di una qualità di vita che non sono alla portata della maggior parte della popolazione mondiale. Questa mancanza di contatto fisico e di incontro, a volte favorita dalla frammentazione delle nostre città, aiuta a cauterizzare la coscienza e a ignorare parte della realtà in analisi parziali. Ciò a volte convive con un discorso "verde". Ma oggi non possiamo fare a meno di riconoscere che un vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale, che deve integrare la giustizia nelle discussioni sull'ambiente, per ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri.

L'iniquità non colpisce solo gli individui, ma Paesi interi, e obbliga a pensare a un'etica delle relazioni internazionali. C'è infatti un vero "debito ecologico", soprattutto tra il Nord e il Sud, connessi a squilibri commerciali con conseguenze in ambito ecologico, come pure all'uso sproporzionato delle risorse naturali compiuto storicamente da alcuni Paesi. Le esportazioni di alcune materie prime per soddisfare i mercati del Nord industrializzato hanno prodotto danni locali, come l'inquinamento da mercurio nelle miniere d'oro o da diossido di zolfo in quelle di rame. In modo particolare c'è da calcolare l'uso dello spazio ambientale di tutto il pianeta per depositare rifiuti gassosi che sono andati accumulandosi durante due secoli e hanno generato una situazione che ora colpisce tutti i Paesi del mondo. Il riscaldamento causato dall'enorme consumo di alcuni Paesi ricchi ha ripercussioni nei luoghi più poveri della Terra, specialmente in Africa, dove l'aumento della temperatura unito alla siccità ha effetti disastrosi sul rendimento delle coltivazioni. A questo si uniscono i danni causati dall'esportazione verso i Paesi in via di sviluppo di rifiuti solidi e liquidi tossici e dalla attività inquinante di imprese che fanno nei Paesi meno sviluppati ciò che non possono fare nei Paesi che apportano loro capitale: "Constatiamo che spesso le imprese che operano così sono multinazionali, che fanno qui quello che non è loro permesso nei Paesi sviluppati o del cosiddetto primo mondo" recita un documento dei vescovi della Patagonia "Generalmente, quando cessano le loro attività e si ritirano, lasciano grandi danni umani e ambientali, come la disoccupazione, villaggi senza vita, esaurimento di alcune riserve naturali, deforestazione, impoverimento dell'agricoltura e dell'allevamento locale, crateri, colline devastate, fiumi inquinati e qualche opera sociale che non si può più sostenere".

Il debito estero dei Paesi poveri si è trasformato in uno strumento di controllo, ma non accade la stessa cosa con il debito ecologico dei Paesi ricchi. In diversi modi, i popoli in via di sviluppo, nelle cui terre si trovano le riserve più importanti della biosfera, continuano ad alimentare lo sviluppo dei Paesi più ricchi a prezzo del loro presente e del loro futuro. Sono terre ricche e poco inquinate, ma l'accesso alla proprietà dei beni e delle risorse per soddisfare le proprie necessità vitali è loro vietato da un sistema di rapporti commerciali e di proprietà strutturalmente perverso. E' necessario che i Paesi sviluppati contribuiscano a risolvere questo debito limitando in modo importante il consumo di energia non rinnovabile, e apportando risorse ai Paesi più bisognosi per promuovere politiche e programmi di sviluppo sostenibile. Le regioni e i Paesi più poveri hanno meno possibilità di adottare nuovi modelli di riduzione dell'impatto ambientale, perché non hanno la preparazione per sviluppare i processi necessari e non possono coprirne i costi. Perciò, bisogna conservare chiara la coscienza che nel cambiamento climatico ci sono responsabilità diversificate e, come hanno detto i vescovi degli Stati Uniti, è opportuno puntare "specialmente sulle necessità dei poveri, deboli e vulnerabili, in un dibattito spesso dominato dagli interessi più potenti". Bisogna rafforzare la consapevolezza che siamo una sola famiglia umana. Non ci sono frontiere o barriere politiche o sociali che ci permettano di isolarci, e per ciò stesso non c'è nemmeno spazio per la globalizzazione dell'indifferenza.

Degna di nota è la debolezza della reazione politica internazionale alla crisi climatica. La sottomissione della politica alla tecnologia e alla finanza si dimostra nel fallimento dei vertici mondiali sull'ambiente. Ci sono troppi interessi particolari e molto facilmente l'interesse economico arriva a prevalere sul bene comune e a manipolare l'informazione per non vedere colpiti i suoi progetti. In questa linea il Documento della Conferenza dell'Episcopato Latino-Americano chiede che "negli interventi sulle risorse naturali non prevalgano gli interessi di gruppi economici che distruggono irrazionalmente le fonti di vita". L'alleanza fra tecnologia ed economia finisce pe lasciare fuori tutto ciò che non fa parte dei loro interessi immediati. Così ci si potrebbe aspettare solamente alcuni proclami superficiali, azioni filantropiche isolate, e anche sforzi per mostrare sensibilità verso l'ambiente, mentre in realtà qualunque tentativo delle organizzazioni sociali di modificare le cose sarà visto come un disturbo provocato da sognatori romantici o come un ostacolo da eludere.

Nello stesso tempo, cresce un'ecologia superficiale o apparente che consolida un certo intorpidimento e una spensierata irresponsabilità. Come spesso accade in epoche di profonde crisi, che richiedono decisioni coraggiose, siamo tentati di pensare che quanto sta succedendo non è certo. Se guardiamo in modo superficiale, al di là di alcuni segni visibili di inquinamento e di degrado, sembra che le cose non siano tanto gravi e che il pianeta potrebbe rimanere per molto tempo nelle condizioni attuali. Questo comportamento evasivo ci serve per mantenere i nostri stili di vita, di produzione e di consumo. E' il modo in cui l'essere umano si arrangia per alimentare tutti i vizi autodistruttivi: cercando di non vederne gli effetti e lottando per non riconoscerli, rimandando le decisioni importanti, facendo come se nulla fosse.

Dall'enciclica "Laudato si'" di Papa Francesco (fine terza parte)

Gianni Vannini - Blog politico
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