Comunismo: un 'idea che non invecchia (ultima parte)

03.11.2020

Dell'uscita dalla tradizione Marx ha fornito nel 1848 una descrizione folgorante. Riporto qui quel vecchio testo, rimasto di una giovinezza incrollabile: "Dove è giunta al potere, la borghesia ha distrutto tutte le condizioni di vita feudali, patriarcali, idilliache. Essa ha lacerato senza pietà i variopinti legami che nella società feudale avvincevano l'uomo ai suoi superiori naturali, e non ha lasciato fra uomo e uomo altro vincolo che il nudo interesse, lo spietato "pagamento in contanti". Essa ha affogato nell'acqua gelida del calcolo egoistico i santi fremiti dell'esaltazione religiosa, dell'entusiasmo cavalleresco, della sentimentalità piccolo-borghese. Ha fatto della dignità personale un semplice valore di scambio; e in luogo delle innumerevoli franchigie faticosamente acquisite e patentate, ha posto la "sola" libertà di commercio senza scrupoli. In una parola, al posto dello sfruttamento velato da illusioni religiose e politiche, ha messo lo sfruttamento aperto, senza pudori, diretto e arido. La borghesia ha spogliato della loro aureola tutte quelle attività che per l'innanzi erano considerate degne di venerazione e di rispetto. Ha trasformato il medico, il giurista, il prete, lo scienziato in suoi operai salariati. La borghesia ha strappato il velo di tenero sentimentalismo che avvolgeva i rapporti di famiglia, e li ha ridotti a un semplice rapporto di denari. Tutte le stabili e arrugginite condizioni di vita, con il loro seguito di opinioni e credenze rese venerabili dall'età, si dissolvono, e le nuove invecchiano prima ancora di aver potuto fare le ossa. Tutto ciò che vi era di stabilito e di rispondente ai vari ordini sociali si svapora, ogni cosa sacra viene sconsacrata e gli uomini sono finalmente costretti a considerare con occhi liberi da ogni illusione la loro posizione nella vita, i loro rapporti reciproci". Marx qui descrive questo: l'uscita dalla tradizione inaugura in realtà una gigantesca crisi dell'organizzazione simbolica dell'umanità. Per millenni, infatti, le differenze interne alla vita umana sono state codificate e simbolizzate sotto una forma gerarchica. Le dualità più importanti, come quella fra giovani e vecchi, fra donne e uomini, fra miserabili e potenti, fra il mio gruppo e gli altri gruppi, gli stranieri e i connazionali, gli eretici e i fedeli, i plebei e i nobili, le città e le campagne, chi lavora con l'intelletto e chi con le mani, sono state trattate (nella lingua, nella mitologia, nelle ideologie, nelle morali religiose stabilite) con il ricorso a strutture d'ordine, che codificavano la posizione degli uni e degli altri in sistemi gerarchici intrecciati. Così, una donna nobile era inferiore a suo marito, ma superiore a un uomo del popolo; un ricco borghese doveva inchinarsi davanti a un duca ma i servitori di questi dovevano inchinarsi davanti al primo; così, una squaw di una certa tribù indiana non valeva quasi nulla agli occhi di un guerriero della sua tribù, ma quasi tutto agli occhi del prigioniero di un'altra tribù, del quale a volte era lei a fissare le regole di tortura. O ancora, il figlio di un uomo libero dipendeva in tutto e per tutto da suo padre, ma poteva avere come schiavo personale il padre nero di una grande famiglia... Tutta la simbolizzazione tradizionale riposa dunque sulla struttura d'ordine che distribuisce le posizioni e di conseguenza le relazioni fra le posizioni. L'uscita dalla tradizione, per come realizzata dal capitalismo in quanto sistema generale della produzione, degli scambi e insomma delle posizioni sociali (riportate a una variante dominante dell'opposizione fra capitale e lavoro, fra profitti e salari) non propone in realtà alcuna simbolizzazione attiva, ma solo il gioco brutale e indipendente dell'economia, il regno neutro, asimbolico, di quello che Marx definisce magistralmente "l'acqua gelida del calcolo egoistico". L'uscita dal mondo gerarchizzato della tradizione non ha proposto una simbolizzazione non gerarchica, ma unicamente una violenta costrizione reale sotto il giogo dell'economia, accompagnata da regole di calcolo sottomesse agli esclusivi appetiti di un piccolo numero di persone. Ne risulta una crisi storica della simbolizzazione, entro la quale la gioventù contemporanea patisce il suo disorientamento. Al riguardo di questa crisi, la quale, con il pretesto di una libertà neutra, propone il denaro come unico referente universale, vi sono oggi due percorsi attivi, l'uno e l'altro, a mio giudizio, assolutamente conservatori e inadeguati alle vere questioni soggettive in preda alle quali oggi l'umanità, e soprattutto la sua gioventù, si ritrovano. La prima è l'apologia illimitata del capitalismo e delle sue vuote "libertà". Diamo un nome a questo percorso: il richiamo a quel che chiamo "desiderio d'Occidente", ovvero l'affermazione che non esiste né può esistere nulla di meglio del modello liberale e "democratico" della nostra società. Il secondo percorso è il desiderio reattivo di un ritorno alla simbolizzazione tradizionale, ovvero gerarchica. Questo desiderio si ricopre spesso dell'una o dell'altra narrazione religiosa, che si tratti di sette protestanti negli Stati Uniti, dell'islamismo reattivo nel Medio Oriente o del ritorno al giudaismo ritualista in Europa. Ma si annida altrettanto bene nelle gerarchie nazionali (Viva i francesi "di origine"!, Viva l'ortodossia grande-russa!), nel razzismo puro e semplice (l'islamofobia di derivazione coloniale o antisemitismo ricorrente) o, infine, nell'atomismo individuale (Viva Me e abbasso gli altri!). Questi due percorsi sono a mio parere vicoli ciechi estremamente pericolosi, e la loro contraddizione, sempre più sanguinosa, avvia l'umanità verso un ciclo di guerre senza fine. E' il vero problema delle false contraddizioni, che impediscono l gioco della contraddizione autentica. La contraddizione autentica, quella che dovrebbe servirci da riferimento, per il pensiero come per l'azione, è quella che oppone due visioni dell'uscita ineluttabile dalla tradizione simbolica gerarchizzante: la visione asimbolica del capitalismo occidentale, che crea mostruose disuguaglianze patogene, e la visione generalmente nominata "comunismo", che a partire da Marx e da i suoi contemporanei propone di inventare una simbolizzazione egualitaria. Questa contraddizione fondamentale del mondo moderno è oggi mascherata, dopo il provvisorio fallimento storico del "comunismo" di Stato nell'Unione Sovietica o in Cina, dalla falsa contraddizione che, al riguardo dell'uscita dalla tradizione, si instaura tra l'Occidente, che dissolve le antiche gerarchie simboliche a tutto vantaggio delle gerarchie reali, e la reazione fascisteggiante che, con una violenza spettacolare volta a camuffarne la reale impotenza, propugna il ritorno alle antiche gerarchie. Questa contraddizione è tanto più falsa quanto, per verità, gli autentici capi e profittatori del fascismo reattivo appartengono allo stesso mondo dei grandi gruppi finanziari occidentali: gli uni e gli altri concordano sul fatto che al di fuori del capitalismo concentrato e predatore non sia possibile nessuna organizzazione globale delle società. Gli uni e gli altri non propongono all'umanità nessuna novità simbolica. La loro disputa verte esclusivamente sulla valutazione della capacità sociale, della potenza di organizzazione collettiva dell'"acqua gelida del calcolo egoistico". Per i nostri padroni occidentali, essa è sufficiente perché l'umanità, con la sua aristocrazia di ricchissimi e la sua enorme massa di plebei, prosegua la sua strada. Per i reattivi di ogni sponda, bisogna riandare alla vecchia morale e alle gerarchie divinizzate, altrimenti col tempo si avranno gravi disordini che rimetteranno in questione lo stesso sistema generale. Questa disputa serve in primo luogo agli interessi degli uni e degli altri, nonostante l'apparente violenza del loro conflitto. Grazie al controllo dei mezzi di comunicazione, essa cattura l'interesse generale e blocca così l'avvento della sola convinzione globale che possa salvare l'umanità dal disastro. Questa convinzione, che chiamo a volte l'Idea comunista, dichiara che in seguito all'accettazione dell'inevitabile uscita dalla tradizione, e anzi nel medesimo movimento di questa uscita, dobbiamo lavorare all'invenzione di una simbolizzazione egualitaria, che possa accompagnare, codificare, formare il sostrato soggettivo pacificato della collettivizzazione delle risorse, dell'effettiva sparizione delle disuguaglianze, del riconoscimento (a parità di diritti soggettivi) delle differenze, e infine del declino delle autorità separate di tipo statale.

Alain Badiou (fine)

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