Comunismo: un'idea che non invecchia (prima parte)
La modernità è l'uscita dalla tradizione. E' la fine del vecchio mondo delle caste, delle nobiltà, delle monarchie ereditarie, dell'obbligo religioso, delle iniziazioni della gioventù, della sottomissione delle donne, della separazione rigida, formalizzata, ufficiale, simbolicamente molto efficace fra il piccolo numero dei potenti e la massa contadina, operaia, nomade, disprezzata e lavoratrice. Niente potrà invertire questo movimento irresistibile, probabilmente avviato in Occidente dal Rinascimento, consolidato a livello ideologico nel XVIII secolo dall'Illuminismo, concretizzato in seguito dal progresso inaudito delle tecniche di produzione e dal perfezionamento incessante dei mezzi di calcolo, di circolazione, di comunicazione, e soggetto, a partire dal XIX secolo, alla lotta politica fra il capitalismo in via di globalizzazione e l'idea collettivista e comunista con i suoi brancolamenti, con i suoi terribili fallimenti e le sue tenaci ricostruzioni. Una lotta che verteva e verte tuttora proprio sulla forma e sulle conseguenze della modernità, vista come uscita dalla tradizione. Il punto forse più sorprendente, e comunque quello su cui dobbiamo soffermarci qui, è che l'uscita dal mondo della tradizione, questo vero e proprio tornado che si abbatte sull'umanità e in appena tre secoli spazza via forme di organizzazione che duravano da millenni, crea una crisi soggettiva di cui percepiamo oggi le cause e la portata, e uno dei cui aspetti più vistosi è precisamente l'estrema e crescente difficoltà che la gioventù incontra nel situarsi nel nuovo mondo. E' questa, la vera crisi. Oggi tutti parlano della "crisi". Si crede talvolta che sia la crisi del capitalismo finanziario moderno. No! Niente affatto! Il capitalismo è in piena espansione globale, e il suo proprio modo di sviluppo ha sempre comportato crisi e guerre, mezzi tanto selvaggi quanto necessari per ripulire le forme della concorrenza e consolidare la posizione dei vincitori: quelli che riescono, rovinando tutti gli altri, a concentrare nelle loro mani la porzione più ingente possibile del capitale disponibile. Ricordiamoci del punto al quale siamo. Come diceva Mao Zedong, bisogna sempre "avere le cifre in testa". Oggi, il 10% della popolazione mondiale detiene l'86% del capitale disponibile. L'1% detiene da solo il 46% di questo capitale. E il 50% della popolazione mondiale non possiede esattamente nulla, lo 0%. Si capirà facilmente che il 10% che possiede quasi tutto non ha nessuna voglia di essere confuso con chi non ha nulla, e neppure con i meno fortunati fra quelli che si spartiscono il magro 14% rimanente. Del resto, in termini molto generali, un gran numero di quelli che si spartiscono quel 14% sono divisi a loro volta fra amarezza passiva e desiderio feroce di conservare quel che hanno, soprattutto tramite il sostegno che, con l'aiuto del razzismo e del nazionalismo, essi apportano agli innumerevoli sbarramenti repressivi contro la terribile "minaccia" che scorgono nel 50% che non ha nulla. Tutto ciò conduce al fatto che lo slogan (che si pretendeva unificatore) del movimento Occupy Wall Street, ovvero "noi siamo il 99%", era perfettamente vuoto. I partecipanti a questo movimento, pieni di una buona volontà che dobbiamo apprezzare, con ogni probabilità erano soprattutto giovani provenienti da famiglie posizionate da qualche parte "nel mezzo", né fra i veri diseredati né fra i veri ricchi. La classe media, insomma, di cui la propaganda vanta l'amore per la democrazia, il fatto che ne sia il pilastro. Ma la verità è che l'Occidente fortunato è pieno di persone che provengono da questo "mezzo", da questa mediana che, senza trovarsi nell'1% dell'aristocrazia possidente né fra il 10% dei solidi proprietari, non trema tuttavia meno di questi davanti al 50% dei diseredati totali e, aggrappandosi alla minuscola frazione del 14% di risorse che gli spetta spartirsi, fornisce al capitalismo globalizzato la truppa di sostenitori piccolo borghesi, senza la quale l'oasi "democratica" non avrebbe alcuna possibilità di sopravvivere. Lungi dall'essere, anche solo simbolicamente, "il 99%", i giovani coraggiosi di Wall Street non rappresentavano, persino nel loro gruppo di origine, che un ridotto manipolo, il cui destino è di svanire nel nulla. A meno che, certo, essi non si leghino molto seriamente alla vera massa di coloro che non hanno nulla, o davvero poco; a meno che essi non traccino in questo modo una diagonale politica fra quelli del 14%, particolarmente gli intellettuali, e quelli del 50%. Questo percorso politico è praticabile, visto che fu tentato, non senza importanti successi locali, in Francia negli anni Sessanta e Settanta sotto l'insegna del maoismo. Negli Stati Uniti, nello stesso periodo, con minore eco, dagli Weathermen; o qualche anno fa dal movimento delle occupazioni, non a Wall Street ma a Tunisi o al Cairo, o anche a Oakland, dove un collegamento attivo con i dockers del porto è stato per lo meno abbozzato. Tutto, assolutamente tutto dipende dalla rinascita definitiva di questa alleanza e dalla sua organizzazione politica su scala internazionale. Tuttavia, nello stato di estrema debolezza di un simile movimento, il risultato obiettivo, misurabile, dell'uscita dalla tradizione, dato che essa si effettua nel formalismo globalizzato del capitalismo, è quello di cui abbiamo appena detto: una minuscola oligarchia detta la sua legge a una schiacciante maggioranza che si trova ai limiti della pura sopravvivenza, e alle classi medie occidentalizzate, ovvero assoggettate e sterili.
Alain Badiou (fine prima parte)