I vecchi e i giovani: un'improbabile splendida alleanza (seconda parte)
E' perché esistono queste due passioni contrarie che i giudizi sulla giovinezza sono da lungo tempo, e non solo oggi, così opposti. Giudizi in netto contrasto, fra l'idea che la giovinezza sia un momento meraviglioso e l'idea che la giovinezza sia un momento terribile dell'esistenza. Questa contraddizione si ritrova in tutta la sua forza presso un gran numero di scrittori, e soprattutto di poeti. Ad esempio, essa costituisce forse il tema centrale di tutta l'opera di Rimbaud. Rimbaud c'interessa perché è il grande poeta della giovinezza. E' la giovinezza che s'incarna in poesia. Ora, Rimbaud esprime entrambi i giudizi, dice al contempo entrambe le cose: la giovinezza è una figura meravigliosa, la giovinezza è una figura che occorre assolutamente abbandonare al passato. Confrontiamo due momenti letteralmente opposti di quel poema in prosa autobiografico che è "Una stagione all'inferno". All'inizio del poema, nella sua prima frase, troviamo: "Un tempo, se ben ricordo, la mia vita era un festino dove si apriva ogni cuore e ogni vino fluiva". Quell'"un tempo" riguarda il Rimbaud diciassettenne, visto dal Rimbaud di vent'anni. Si tratta dunque di una vita divorata a tutta velocità, ma che vede il suo inizio sotto il segno della festa, dell'amore e dell'ebbrezza. Ma il Rimbaud di questo rimpianto struggente, il vegliardo nostalgico che ha solo vent'anni, è già immerso nell'altra passione, quella della costruzione ragionata, e scrive questo, che è come una rinuncia alla potenza mortifera degli slanci, del rapporto narcisistico con sé stesso, dell'immoralità costante: "Io! Io che mi son detto mago o angelo, esente da ogni morale, eccomi per terra, in cerca di un dovere, con la scabrosa realtà da stringere!" Vedete: all'inizio, passione della vita consumata, eroismo impaziente, poesia e festini. Alla fine, niente più cantici, il che vuol dire: niente più poesie. Ci si converte alla ruvida necessità del dovere, della vita ben costruita. E quel che occorre, tutto al contrario di ciò che dominava la folle gioventù, è la pazienza, l'ardente pazienza. In tre anni, Rimbaud percorre l'intero movimento dei due orientamenti possibili in ogni giovinezza: il regno assoluto dell'immediato e dei suoi godimenti, o la ruvida pazienza del dovere di riuscire. Era un poeta errante, diverrà un trafficante coloniale. Vengo adesso a una questione che, a dire il vero, pongo ai giovani almeno quanto la pongo a me stesso. Su quale bilancia possiamo pesare quel che oggi vale la giovinezza? Poiché sappiamo che sono stati pronunciati giudizi così opposti , che cosa ne diremmo oggi? Che cosa otterremmo come risultato, soppesando i due termini della contraddizione che costituisce ogni giovinezza? Da che parte pende la bilancia? Alcuni tratti positivi sembrano caratterizzare la gioventù contemporanea, e dovrebbero differenziarla dalle gioventù che l'hanno preceduta. Si può in effetti sostenere che, per ragioni molteplici, oggi i giovani dispongono di un margine di manovra più ampio di una volta, tanto per bruciare quanto per costruire la propria esistenza. In parole povere, sembra che il tratto più generale della giovinezza, almeno nel nostro mondo, il mondo che chiamiamo Occidente, sia il fatto che è una giovinezza più libera. In primo luogo, è una giovinezza non più sottomessa a una severa iniziazione. Non le vengono imposti i riti, spesso ardui, che segnano il passaggio dalla giovinezza all'età adulta. Un'iniziazione simile è esistita per secoli, ha costituito una parte molto importante della storia dell'umanità. Per tutte le decine di migliaia di anni in cui è vissuto il mammifero che è l'uomo, il bipede implume, sono sempre esistiti riti d'iniziazione, passaggi specifici, socialmente organizzati, fra la giovinezza e il mondo adulto, che potevano essere marcature sul corpo, temibili prove fisiche e morali, o ancora esercizi prima proibiti e ora consentiti. Come tutto ciò indicava, il significato di "giovane" era "colui che non è stato ancora iniziato". Della giovinezza si dava una definizione restrittiva, una definizione negativa. "Essere giovani" era soprattutto "non essere ancora adulti". Mi pare che questa mentalità, queste usanze simboliche siano sopravvissute fino a tempi non così lontani. Ancora nella mia giovinezza esisteva un'iniziazione maschile, nella figura del servizio militare. Ed esisteva anche un'iniziazione femminile, con il matrimonio. Il giovane era adulto quando aveva fatto il servizio militare, la donna quando si sposava. Oggi questi due ultimi brandelli d'iniziazione non sono che ricordi dei nonni. Si può dunque dire che la gioventù è stata sottratta alla questione dell'iniziazione. La seconda caratteristica che sottolineerei è che si attribuisce alla vecchiaia un valore minore, infinitamente minore. Nella società tradizionale, i vecchi sono sempre i maestri, sono valorizzati come tali, naturalmente a svantaggio dei giovani. La saggezza si trova dal lato della lunga esperienza, dell'età avanzata, della vecchiaia. Oggi questa valorizzazione è sparita, a tutto vantaggio del suo contrario: la valorizzazione della giovinezza. E' quel che si è chiamato il "giovanilismo". Il giovanilismo è una sorta di capovolgimento dell'antico culto dei vecchi saggi. L'intendo su un piano teorico, o piuttosto ideologico, perché il potere è ancora concentrato in gran parte nelle mani di adulti, anzi di adulti già quasi vecchi. Ma il giovanilismo, in quanto ideologia, in quanto tema della pubblicità mercantile, impregna la società, che prende a modello i giovani. Come del resto predicava Platone a proposito delle società democratiche, abbiamo l'impressione che i vecchi vogliano restar giovani a qualunque costo, e che i giovani non aspirino altrettanto a divenire adulti. Il giovanilismo è la tendenza ad aggrapparsi per quanto possibile alla giovinezza, a cominciare dalla giovinezza del corpo, invece di assumere come una forma di superiorità la saggezza della vecchiaia. Di qui il fatto che "rimanere in forma" sia l'imperativo di chi invecchia. Jogging e tennis a volontà, fitness, chirurgia estetica, tutto fa brodo. Bisogna esser giovani e restare giovani. I vecchietti in tuta corrono nei boschi misurandosi la pressione arteriosa. Può persino darsi, almeno in apparenza, che fra i giovani ci siano meno differenze interne, meno (non dobbiamo aver paura delle parole) differenze di classe. Su questo punto, non c'è bisogno di andare molto indietro nel tempo. Quando ero giovane, considerate che circa il 10% dei nati in un determinato anno superavano la maturità. Lo vediamo: oggi, nello spazio di alcuni decenni, siamo passati a una percentuale tra il 60 e il 70. Quando ero giovane, un vero abisso scolare ci separava dai giovani che non avevano il diploma: l'immensa maggioranza di giovani che non avevano intrapreso gli studi superiori e che smettevano di studiare verso gli undici o i dodici anni, avendo ottenuto quello che si chiamava proprio il "certificato di studi", e significava che sapevano leggere e scrivere, sapevano far di conto e potevano quindi diventare operai qualificati nelle grandi città. Gli altri continuavano a studiare per almeno altri sette anni, e s'inerpicavano così sulla scala del prestigio sociale. In un tempo davvero molto vicino alla mia giovinezza, era quasi come se nella società ci fossero due società, e comunque due gioventù. La gioventù di coloro che seguivano lunghi studi si formava in un modo diverso dalla gioventù di chi non li seguiva, una maggioranza schiacciante. Può ben darsi che oggi questo abisso di classe fra le due gioventù, decisamente meno visibile, continui tuttavia ad esistere sotto altre forme, fra cui soprattutto l'estrazione, il luogo di residenza, le consuetudini, la religione, e anzi anche gli "habitus" legati all'abbigliamento, ai consumi, alla concezione di che cosa sia la vita immediata. Un abisso forse ancora più profondo, ma meno marcato, meno formalizzato, meno evidente. Alla luce di tutto quel che ho appena richiamato, si può sostenere che il fatto di essere giovani non è più sottoposto alla marcatura sociale fra giovani e adulti nella forma dell'iniziazione, e che dunque la transizione fra la giovinezza e l'età adulta è più morbida. Si può anche ammettere che la gioventù sia almeno un po' più omogenea quanto ai suoi riti e ai suoi costumi, insomma alla sua "cultura". Si può infine affermare che il culto spirituale dell'età avanzata si sia capovolto nel culto materiale di una giovinezza senza fine. Si potrebbe infine dire: non è così male essere giovani oggi, è piuttosto una possibilità; prima era peggio, era una costrizione. Si potrebbe dire che i tratti della giovinezza contemporanea siano in gran parte quelli di una nuova libertà, e che dunque i giovani hanno la fortuna di essere giovani, e che la sfortuna sia d'essere vecchi. Il vento è cambiato. Ebbene, non è così facile. In primo luogo, il fatto che non ci sia più un'iniziazione è un dato che va letto nei due sensi. Da un lato esso espone i giovani a un'adolescenza infinita, dunque all'impossibilità della quale ho parlato: di trattare le passioni, di regolare quelle passioni, e questo implica anche (si tratta della stessa cosa vista al contrario) quella che potremmo definire una puerilizzazione dell'adulto. Un'infantilizzazione. Dall'altro, il giovane può rimanere indefinitamente giovane perché non esistono marcature particolari, il che in un certo modo significa che l'età adulta è un prolungamento dell'infanzia in una maniera che è al contempo continua e parziale. Si potrebbe dire che questa puerilizzazione dell'adulto è il correlato della potenza del mercato. Poiché la vita, nel nostro mondo, è in parte la possibilità di comprare: di comprare poi che cosa? In fin dei conti giocattoli, grossi giocattoli, cose che ci piacciono e che incutono soggezione agli altri. E la società contemporanea ci ordina di comprare questi oggetti, di augurarci di poterne comprare più possibile. Ora, l'idea di acquistare oggetti, di giocare con oggetti nuovi, automobili nuove, scarpe di marca, televisori immensi, appartamenti esposti a sud, smartphone placcati in oro, cose così, è caratteristica dei desideri dell'infanzia, dell'adolescenza. Quando questa caratteristica arriva a funzionare anche al livello degli adulti, foss'anche solo in parte, non ci sono più barriere simboliche fra il fatto di essere giovani e il fatto di essere adulti, si crea una sorta di continuità molle. L'adulto diviene colui che rispetto al giovane ha qualche mezzo in più per comprare grossi giocattoli. La differenza è più quantitativa che qualitativa.
Alain Badiou (fine seconda parte)