I vecchi e i giovani: un'improbabile splendida alleanza (ultima parte)

30.10.2020

Che dire del secondo argomento a favore della gioventù, ovvero il fatto che non si dà più una valorizzazione della vecchiaia? Ebbene, questo ha notevolmente rafforzato una paura della giovinezza, che accompagna come un'ombra la sua valorizzazione esclusiva. Questa paura della giovinezza, e in particolare della giovinezza popolare, è del tutto caratteristica delle nostre società. E questa paura non ha più un contrappeso. Un tempo esisteva una paura della giovinezza nel senso che la vecchiaia, la saggezza trasmessa dai vecchi, doveva contenerla, padroneggiarla, imporle identificazioni, limiti. Ma oggi si ha paura della giovinezza proprio perché non si sa che cosa essa sia, che cosa possa essere, perché essa è interna allo stesso mondo adulto e al contempo niente affatto interna, è altro senza essere altro. La quantità di leggi repressive, di pratiche poliziesche, di piccole indagini, di procedure espressamente destinate a trattare questa paura della giovinezza è un sintomo estremamente significativo. I giovani si trovano in una società che allo stesso tempo decanta la giovinezza e ne ha paura. Questo è un fatto certo. E l'equilibrio fra le due cose ha come risultato che la nostra società non riesce a trattare il problema della propria stessa gioventù. O, più esattamente che, ormai una frazione amplissima della gioventù nelle nostre grandi città è considerata un grave problema. E quando, com'è il caso di oggi, la società non è più in grado di fornire lavoro a questi giovani, i problemi si fanno molto seri. Perché avere un lavoro era un po' l'ultima forma d'iniziazione, era così che sembrava cominciare la vita adulta. Anche questa, oggi, viene rimandata a lungo, finisce per arrivare molto tardi. Sul terzo argomento, ovvero lo scarto culturale e scolare minore di quello che 50 anni fa separava la gioventù borghese e la gioventù popolare, bisogna osservare che, come ho detto, altre differenze si sono approfondite. Di provenienza, identità, comportamenti, residenza, religione... Direi che all'interno di una gioventù apparentemente unificata si aprono degli abissi. In precedenza, fino agli anni Ottanta e ancora oltre, la gioventù era divisa in due: da un lato chi era destinato alle funzioni superiori, dall'altro coloro che dovevano rimanere operai e contadini. C'erano due mondi. Oggi si ha piuttosto l'apparenza di un unico mondo. Ma poco a poco si instaura l'idea che, all'interno di questo stesso mondo, vi siano differenze gravi, insormontabili. Le manifestazioni degli studenti sono chiaramente del tutto separate dalle brutali rivolte giovanili cittadine. Chiamiamo "mondo della tradizione" il mondo plurimillenario caratterizzato da uno stretto controllo autoritario della gioventù da parte del corpo sociale. Un'autorità codificata, normata, simbolizzata, che segue da molto vicino tutto quel che riguarda l'attività e i rari diritti dei figli e ancor più delle figlie. Si può probabilmente affermare che le evidenti nuove libertà della gioventù dimostrano che non ci troviamo più nel mondo della tradizione. Ma constatiamo anche non trovarcisi più pone problemi la maggior parte dei quali non sono ancora risolti. Del resto non solo per i giovani, ma anche per i vecchi. I primi fanno paura, i secondi sono svalutati e piazzati in appositi istituti, con il solo destino di morire "in pace". Vi propongo allora un'idea militante. Sarebbe giusto organizzare un'ampia manifestazione per l'alleanza fra i giovani e i vecchi, rivolta esplicitamente contro gli adulti di oggi. I più ribelli sotto i 30 anni e i più coriacei sopra i 60 contro gli affermati quaranta-cinquantenni. I giovani diranno che ne hanno abbastanza di essere disorientati, e interminabilmente privi di ogni marca di esistenza positiva. Direbbero anche che non è un bene che gli adulti facciano finta di essere eternamente giovani. I vecchi direbbero che ne hanno abbastanza di pagare la loro svalutazione, l'uscita dall'immagine tradizionale del vecchio saggio verso la rottamazione e la deportazione in mortori medicalizzati, la loro totale assenza di visibilità sociale. Una manifestazione mista di questo genere sarebbe un fatto molto nuovo e molto importante! Nei miei numerosi viaggi in tutto il mondo, del resto, ho visto parecchie conferenze, parecchie situazioni in cui il pubblico si componeva di un nocciolo di veterani, di superstiti, come me, delle grandi lotte degli anni Sessanta e Settanta, e poi da una massa di giovani che venivano a vedere se il filosofo aveva qualcosa da dirgli sull'orientamento della loro esistenza, sulla possibilità di una vera vita. Ho dunque visto, dappertutto nel mondo, l'abbozzo dell'alleanza di cui sto parlando. Come al gioco della cavallina, la gioventù sembra oggi dover scavalcare l'età dominante, quella che va grosso modo dai 35 ai 65 anni, per costituire assieme al piccolo nocciolo di vecchi in rivolta, non rassegnati, l'alleanza dei giovani disorientati e dei vecchi guerrieri dell'esistenza. Insieme, otterremmo di aprire il sentiero della vera vita. Nell'attesa di una simile manifestazione gloriosa, direi che i giovani si trovano alle soglie di un nuovo mondo, un mondo che non sarà più quello plurimillenario della tradizione. Non è una caratteristica di tutte le generazioni quella di trovarsi sulle soglie di un nuovo mondo, è una situazione specificamente propria dei giovani a cui mi rivolgo. Voi vi trovate nel frangente di una crisi delle società che scuote e distrugge gli ultimi resti della tradizione. E di questa distruzione, di questa negazione, noi non conosciamo realmente il versante positivo. Sappiamo che essa apre incontestabilmente a una libertà. Ma questa libertà consiste soprattutto nell'assenza di determinati divieti. E' una libertà negativa, consumista e consacrata all'incessante variabilità dei prodotti, delle mode e delle opinioni. Essa non stabilisce alcun orientamento verso una nuova idea di vera vita. E nello stesso tempo, riguardo ai giovani crea una paura, di cui la società non si sa come potrà venire a capo, perché non si oppone loro che la falsa vita della concorrenza e della riuscita. Una possibile libertà creatrice, affermativa: ecco il compito del nuovo mondo a venire.

Alain Badiou (fine)

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