Il reddito di base (prima parte)

30.04.2020

Per ricostruire la fiducia e la speranza nel futuro delle nostre società e del nostro mondo dobbiamo sovvertire il sapere consolidato, liberarci dei nostri pregiudizi e abbracciare nuove idee. Una di queste, semplice ma cruciale, è quella di un reddito di base incondizionato: una somma di denaro pagata regolarmente a tutti, su base individuale, indipendentemente dalla condizione economica e senza contropartite lavorative. Già alla fine del Settecento questa idea era stata concepita da alcune menti ardite ma oggi la combinazione di una crescente disuguaglianza, di una nuova ondata di automazione e di una più alta consapevolezza dei limiti ecologici della crescita ne ha fatto l'oggetto di un interesse senza precedenti in tutto il mondo. La previsione che i lavori dignitosi saranno sempre più rari porta facilmente a convincersi che occorre garantire i mezzi di sostentamento a una crescente popolazione di disoccupati. Tuttavia, vi sono due modi molto diversi di dare corpo a questa convinzione. Il primo consiste nell'espandere il modello dell'assistenza pubblica, esemplificato dagli attuali programmi di reddito minimo garantito di tipo condizionato. In genere, questi programmi integrano il reddito, ammesso che ve ne sia uno, che una famiglia trae direttamente o indirettamente dal lavoro, in misura tale da consentirle di superare una determinata soglia di povertà. Questi sistemi contribuiscono in modo sostanziale ad eliminare la povertà estrema ma, a causa della loro condizionalità, tendono intrinsecamente a trasformare i beneficiari in una classe di cittadini che dipendono permanentemente dall'assistenza sociale. Essi hanno diritto a continuare a ricevere sovvenzioni a condizione che rimangano indigenti e siano in grado di dimostrare che ciò non dipende dalla loro volontà. Inoltre sono sottoposti a procedure più o meno invasive e umilianti. C'è un'altra opzione? Sì, consiste nell'introdurre un sistema di reddito minimo, ma di tipo incondizionato. Si tratta di un diritto "strettamente individuale", indipendente dalla composizione del nucleo familiare; è "universale", non vincolato a una verifica della condizione economica; ed è "libero da obblighi" da assolvere in cambio, cioè da prestazioni lavorative o dalla dimostrazione della disponibilità al lavoro. Per assolvere alla funzione che gli si attribuisce, dovrà senz'altro essere pagato regolarmente e non "una tantum" o a scadenze imprevedibili. Contrariamente a come è talvolta presentato, il reddito di base non dovrebbe essere inteso come un sostituto di tutti gli assegni esistenti né tanto meno del finanziamento pubblico dell'istruzione, dell'assistenza sanitaria e di altri servizi. Il pagamento del reddito di base direttamente ai singoli individui può fare una bella differenza perché influenza la distribuzione del potere all'interno della famiglia. Una donna che guadagna poco o non guadagna nulla, se ricevesse un reddito regolare intestato a lei e ai suoi figli, eserciterebbe un maggiore controllo delle spese familiari e potrebbe eventualmente andarsene con minore difficoltà. Il reddito di base differisce dal reddito minimo condizionato non solo per il fatto di essere pagato su base individuale, ma anche per altri due aspetti. Il reddito di base è incondizionato perché universale, cioè non è soggetto a un accertamento delle condizioni economiche. Ed è incondizionato perché non soggetto ad obblighi lavorativi e ad una verifica della disponibilità al lavoro. I disoccupati volontari ne hanno diritto tanto quanto quelli involontari e coloro che un lavoro ce l'hanno. La combinazione dell'assenza di queste due condizioni è cruciale: la prima emancipa le persone dalla trappola della disoccupazione, la seconda dalla trappola dell'occupazione. La prima rende più facile accettare un'offerta di lavoro, la seconda rende più facile rifiutarla. L'interazione di questi due aspetti fa del reddito di base un fondamentale strumento di libertà.

                                                                                                      Philippe Van Parijs e

                                                                                                       Yannick Vanderborght   (2017)

                                                                                                 (fine prima parte)

Gianni Vannini - Blog politico
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