La ragazza che non fa sconti e un movimento che le somiglia
«La speranza non viene dai bla bla bla dei politici, o dall'inazione e dalle promesse vuote che tutto andrà bene. La speranza siamo noi, le persone che si riuniscono per fare il cambiamento». Le parole con cui Greta Thunberg ha chiuso il corteo studentesco per il clima di venerdì 1 ottobre segnano il punto politico delle giornate di protesta che hanno animato Milano in questi giorni, in occasione dei due vertici internazionali Youth4Climate e PreCop, e che saranno chiuse dalla Marcia Globale per la Giustizia Climatica: basta chiacchiere, è ora dell'azione.
Oltre 50 mila studentesse e studenti secondo gli organizzatori, cioè Fridays For Future e la Climate Open Platform, hanno percorso le strade di Milano. Un segnale fortissimo di vitalità da parte di un movimento che, dopo un anno e mezzo di pandemia, in molti davano per morto. C'era stata tanta fretta da parte di troppi a liquidare come una moda passeggera il tema del clima, che invece è e continuerà a essere a lungo il principale nodo politico della nostra epoca. Il movimento per la giustizia climatica si era inabissato e alla prima occasione, con lo sciopero globale della settimana scorsa e con l'appuntamento milanese di questi giorni, è riemerso. Del resto si tratta di un movimento in cui la partecipazione individuale, organizzata al massimo a livello di passaparola tra compagni di classe, gioca un ruolo gigantesco rispetto a meccanismi organizzativi tuttora molto limitati: difficile tenere i legami durante la pandemia, ma relativamente facile riattivarli quando arriva la chiamata.
Una piazza di giovanissimi e giovanissime, ma in grado di mostrare una maturazione politica innegabile. A due anni e mezzo dall'esordio italiano, con l'esplosione improvvisa del 15 marzo 2019, l'ingenuità ecumenica degli inizi ha lasciato spazio e parole d'ordine chiare e radicali: l'obiettivo della giustizia climatica va perseguito qui e ora, il sistema sociale ed economico va rovesciato, avversari simbolici come l'Eni e il ministro Cingolani sono nominati esplicitamente e senza paura. Le borracce sono sempre presenti, ma non sembrano molti quelli illusi che basterà cambiare qualche comportamento individuale per affrontare l'emergenza. Il movimento ha saputo assumere posizioni forti in maniera intelligente, senza perdere la propria natura maggioritaria, maneggiando bene l'equilibrio tra radicalità e pragmatismo che sembra essere la cifra di un'intera generazione. L'occasione della PreCop ha favorito la presenza non solo di Greta Thunberg, accolta come una rockstar da manifestanti e stampa, ma anche di una nutrita delegazione di attivisti e attiviste di Fridays for future da tutto il mondo, tra cui spicca Vanessa Nakate, ventiquattrenne ugandese particolarmente efficace nel raccontare cosa significhi il cambiamento climatico in molte aree del Sud globale.
La radicalizzazione è un fatto quasi fisiologico di fronte all'inazione criminale di governi e grandi aziende, ai «bla bla bla» e alle «promesse vuote» di cui parlava la stessa Greta. E quindi allo sciopero climatico di Fridays for future si sono accompagnati i blocchi stradali promossi da Extinction Rebellion e le azioni intraprese dalla rete Rise Up 4 Climate Justice, promossa dai centri sociali del Nordest, che la notte del 30 settembre ha occupato Piazza Affari come simbolo del capitalismo estrattivista responsabile del riscaldamento globale. Una pluralità di forme d'azione che, pur con le normali tensioni, sembra aver tenuto, e che nel complesso ci riporta l'immagine di un vasto movimento per la giustizia climatica, in grado di mettere in campo tattiche diverse senza perdere di vista l'obiettivo comune. Percorsi che interpretano in maniera diversa un sentimento simile, quello dell'urgenza inderogabile dell'azione di fronte all'emergenza climatica e a un quadro politico tuttora completamente inerte. Vedremo quanto durerà questa capacità di rispettare le forme di protesta altrui senza ostacolarle. Oggi, intanto, si torna in piazza alle 15, sempre a Milano, con la Marcia Globale per la Giustizia Climatica: un corteo nazionale per il clima che chiama in piazza una popolazione più ampia rispetto a quello tradizionalmente studentesca. Sarà interessante misurare la risposta.
Ciò che non arriva in nessun modo, invece, è una risposta politica. Al ministro della transizione ecologica Roberto Cingolani, reduce da un impietoso scatto fotografico che lo ritrae mentre cerca di imbonire un'impassibile Greta Thunberg, devono essere fischiate parecchio le orecchie ieri. Il governo Draghi ha trovato la prima significativa opposizione sociale in piazza proprio sul tema che in teoria doveva caratterizzarne il mandato. Un tema, quello ambientale, che del resto aveva segnato l'identità del Movimento Cinque Stelle fin dalle origini, e su cui questa legislatura ormai agli sgoccioli ha ben poco da rendicontare. Le promesse di modernizzazione capitalista del governo Draghi, per ora, si stanno infrangendo contro la maggioranza che lo sostiene e contro i suoi stessi referenti sociali. In un mondo in cui l'urgenza della crisi climatica si fa sempre più impellente e le risposte politiche latitano, si fanno strada soluzioni tecniche datate come quella nucleare, recentemente tornata di moda, buona nella migliore delle ipotesi per prendere tempo e calciare il barattolo un po' più in avanti. Per chi guarda la crisi da sinistra, la tentazione di dedurne «o ecosocialismo o barbarie» è davvero forte. Il rischio è che la politica si faccia scavalcare dalla realtà. «Students will lead system change» recitava uno degli striscioni d'apertura. Un indicativo futuro, senza spazio per il dubbio. Una rabbiosa speranza che la pandemia non ha spento e che è tornata a riempire le strade.
Lorenzo Zamponi