L'altra metà del capitalismo (prima parte)
Parlare di figlie, di giovani ragazze o giovani donne, quando si è un uomo anziano, è molto pericoloso di per sé. E poi, non è certo che possa esistere nel mondo contemporaneo una "questione" delle ragazze. Nel mondo antico, il mondo della tradizione, la questione delle ragazze era semplice: si trattava di sapere se e come una figlia si sarebbe sposata. Come sarebbe passata dallo stato di vergine seducente a quello di madre prostrata. Fra le due, del resto, fra la figlia e la madre, si trovava il personaggio negativo e maledetto della ragazza madre, che non era più figlia, essendo madre, e non era veramente madre, perché non sposata, e dunque era ancora figlia. Questa figura della ragazza madre era fondamentale nella società antica. Ed è anche fondamentale in tutta l'arte romanzesca dell'Ottocento. Ci indica già che, di fronte a ogni dualità concettuale, a ogni dualità di posizioni, una donna può costruire una via di mezzo, un posto fuori posto, ad esempio né figlia né madre. Può così occupare quella che Georges Bataille chiamava la "parte maledetta". Nella società tradizionale, la parte maledetta è sempre quella di una donna. Una di queste è la ragazza madre. La zitella è un'altra. Nel mondo attuale, quello del capitalismo sfrenato, della merce, del lavoro salariato, della circolazione e della comunicazione, la posizione della ragazza non si lascia più completamente ridurre alla logica del matrimonio. Beninteso, il vecchio mondo è lungi dall'essere completamente morto. La religione, la famiglia, il matrimonio, la maternità, il pudore, la stessa verginità ricoprono ancora posizioni solide in molti luoghi del mondo. Tuttavia, ciò che interessa il filosofo non è tanto quel che è ma quel che viene. E quel che viene, per quel che riguarda le ragazze, non si può ridurre al matrimonio. La ragazza, nel mondo occidentale contemporaneo, non può essere definita come l'essere umano di sesso femminile che si prepara al divenire-donna-e-madre con la mediazione del matrimonio, e dunque con la mediazione di un uomo. In fondo, la rivolta femminista, dalla fine dell'Ottocento, ritorna tutta su un solo punto: ogni donna può e deve esistere senza dipendere da un uomo. Ogni donna può e deve essere una persona autonoma, non già il risultato di una mediazione maschile. Con alcune forti ambiguità sulle quali tornerò, questa rivolta ha dato luogo a mutamenti importanti, che riguardano particolarmente lo statuto, e persino la definizione di ciò che è una ragazza. Nel mondo della tradizione, la mediazione maschile costituiva la questione delle figlie, nel senso seguente: ciò che separa la figlia dalla donna non è altro che l'uomo. Per il figlio è tutta un'altra cosa. Perché ciò che separa il figlio dal padre non è un termine esterno reale, come lo è invece un marito. Quel che separa il figlio dal padre è il controllo dell'ordine simbolico. Il figlio deve succedere al padre, deve prendere a sua volta il potere. Deve divenire il padrone della Legge. Si può dire che tra la figlia e la donna-madre c'è l'uomo, pura esteriorità reale, al quale lei consegna il proprio corpo, al quale, come dicevamo, si dona, al quale appartiene. Mentre tra il figlio e l'uomo-padre c'è la Legge. La fanciulla del mondo tradizionale scambia il suo nome con quello di un uomo, diviene la "signora X". Può allora rimanere fuori dal lavoro salariato, amministrare la casa, innanzitutto essere madre, e particolarmente "madre di famiglia". Nella trinità reazionaria "Lavoro, Famiglia, Patria", l'operaio e il contadino, specie simbolicamente maschili, sono votati al lavoro, il soldato, non meno maschile, alla patria, e la ragazza divenuta madre simboleggia la famiglia. La trinità contiene due categorie maschili, il lavoro e la patria, contro un'unica categoria femminile, la famiglia. Ma che cos'è la famiglia? Già in Platone, vediamo le tre grandi funzioni sociali: produrre, riprodursi, difendere. Il lavoro è quel che produce, la famiglia è il luogo della riproduzione, la patria è quel che si difende. Fra la produzione e la protezione, la ragazza divenuta moglie, prigioniera nelle fatiche materne, assicura la riproduzione. La donna tradizionale è nel mezzo fra l'operaio e il soldato. Accoglie alla sua tavola e nel suo letto l'uomo maturo che lavora, che è il suo consorte. Piange patriotticamente il giovane uomo che muore in battaglia: suo figlio. La figlia deve diventare Mater dolorosa. Ma ecco che da noi la società tradizionale, lentamente ma per certo, sta morendo. Nel mondo che viene, nel contemporaneo che si prepara, la ragazza può decidere di essere operaia o contadina o professoressa o ingegnera o poliziotta o cassiera o soldata o presidente della Repubblica. Può convivere con un uomo al di fuori del matrimonio, avere un amante, più amanti o nessuno. Può sposarsi e divorziare, cambiare luogo e amore. Può vivere da sola senza essere quell'altro personaggio importante e crudele della tradizione: la zitella. Può avere figli senza avere un marito, o anche avere figli con un'altra donna. Può abortire. Il nome maledetto di ragazza-madre sparisce. Si è parlato di "madre nubile", dizione anch'essa superata in favore di qualcosa di ancora più neutro, la "famiglia monoparentale". Ed ecco anche che una famiglia monoparentale può essere formata da un padre e dai suoi figli, senza donne. E nessuno parlerà di "ragazzo-padre" come si parlava di ragazza-madre. Persino il personaggio negativo della zitella può divenire il personaggio positivo della donna indipendente. Sì, sì, lo so, a tutto ciò si oppongono forti resistenze, la guerra non è ancora vinta, e in molti luoghi; anche nei nostri paesi europei e democratici non lo si accetta dappertutto. Ma è quel che accade, quel che viene. E' qui che si costituisce la nostra questione, la questione che abbiamo ipotizzato: la questione delle ragazze. La sua prima formulazione potrebbe essere: se la figlia, o la ragazza, non è separata dalla donna dal reale di un uomo e dal simbolico del matrimonio, quale può essere dunque il principio della sua esistenza? E si trova in uno stato di disorientamento, come abbiamo detto trovarsi i figli?
Alain Badiou (fine prima parte)