L'antifascismo è desueto?
In un giorno non lontano, fuori d'Italia e forse anche dentro, il nemico avrà un altro nome e un altro volto. Probabilmente, quel nuovo "ismo" ancora da battezzare sarà una miscela di rigurgito patriottico e di anelito mistico, di religione del mercato e di ideologia dello scontro tra civiltà: sarà un "totalitarismo democratico" che pretenderà di far coincidere la globalizzazione economica con l'occidentalizzazione politica e culturale del pianeta, una guerra dopo l'altra, sempre più restringendo e privatizzando le libertà civili. Entro un simile scenario, e mentre la fragilità della democrazia appare evidente persino tra le mura del suo tempio americano, come non riconoscere che quanto noi italiani intendiamo per antifascismo minaccia di riuscire un patrimonio di cose non solo desuete, ma anche periferiche, marginali? Insomma, può ben darsi che l'antifascismo giaccia oggi sul suo letto di morte: malato terminale di ritualità, di credibilità, di senilità e addirittura di eccentricità. Ma può essere che valga la pena di impegnarsi a mantenerlo in vita ancora un po', almeno fino a che non si sia trovato qualcosa di meglio, senza meritare con questo una denuncia per accanimento terapeutico. E forse il tentativo è tanto più opportuno, o addirittura necessario nel contesto della vita politica italiana, dove la morte dell'antifascismo rischia di significare non già una rinascita, ma l'agonia della democrazia.
Sergio Luzzatto (2004)