Parole sante!
In certe visioni economicistiche chiuse e monocromatiche, sembra che non trovino posto, per esempio, i movimenti popolari che aggregano disoccupati, lavoratori precari e informali e tanti altri che non rientrano facilmente nei canali già stabiliti. In realtà, essi danno vita a varie forme di economia popolare e di produzione comunitaria. Occorre pensare alla partecipazione sociale, politica ed economica in modalità tali "che includano i movimenti popolari e animino le strutture di governo locali, nazionali e internazionali con quel torrente di energia morale che nasce dal coinvolgimento degli esclusi nella costruzione del destino comune"; al tempo stesso, è bene far sì "che questi movimenti, queste esperienze di solidarietà che crescono dal basso, dal sottosuolo del pianeta, confluiscano, siano più coordinati, si incontrino". Questo, però, senza tradire il loro stile caratteristico, perché essi sono "seminatori di cambiamento, promotori di un processo in cui convergono milioni di piccole e grandi aziende concatenate in modo creativo, come in una poesia". In questo senso sono "poeti sociali", che a modo loro lavorano, propongono, promuovono e liberano. Con essi sarà possibile uno sviluppo umano integrale, che richiede di superare "quell'idea delle politiche sociali concepite come una politica "verso" i poveri, ma mai "con" i poveri, mai "dei" poveri e tanto meno inserita in un progetto che riunisca i popoli". Benché diano fastidio, benché alcuni "pensatori" non sappiano come classificarli, bisogna avere il coraggio di riconoscere che senza di loro "la democrazia si atrofizza, diventa un nominalismo, una formalità, perde rappresentatività, va disincarnandosi perché lascia fuori il popolo nella sua lotta quotidiana per la dignità, nella costruzione del suo destino".
Mi permetto di ripetere che "la crisi finanziaria del 2007-2008 era l'occasione per sviluppare una nuova economia più attenta ai principi etici, e per una nuova regolamentazione dell'attività finanziaria speculativa e della ricchezza virtuale. Ma non c'è stata una reazione che abbia portato a ripensare i criteri obsoleti che continuano a governare il mondo". Anzi, pare che le effettive strategie sviluppatesi successivamente nel mondo siano state orientate a maggior individualismo, minore integrazione, maggiore libertà per i veri potenti, che trovano sempre il modo di uscire indenni.
Mi permetto di ribadire che "la politica non deve
sottomettersi all'economia e questa non deve sottomettersi ai dettami e al
paradigma efficientista della tecnocrazia". Benché si debba respingere il
cattivo uso del potere, la corruzione, la mancanza di rispetto delle leggi e
l'inefficienza, "non si può giustificare un'economia senza politica, che
sarebbe capace di propiziare un'altra logica in grado di governare i vari aspetti
dell'attuale crisi". Al contrario, "abbiamo bisogno di una politica che
pensi con una visione ampia, e che porti
avanti un nuovo approccio integrale, includendo in un dialogo interdisciplinare
i diversi aspetti della crisi". Penso a "una sana politica, capace di riformare
le istituzioni, coordinarle e dotarle di buone pratiche, che permettano di
superare pressioni e inerzie viziose". Non si può chiedere ciò all'economia, né
si può accettare che questa assuma il
potere reale dello Stato.
La società mondiale ha gravi carenze strutturali che non si risolvono con rattoppi o soluzioni veloci meramente occasionali. Ci sono cose che devono essere cambiate con reimpostazioni di fondo e trasformazioni importanti. Solo una sana politica potrebbe averne la guida, coinvolgendo i più diversi settori e i più vari saperi. In tal modo, un'economia integrata in un progetto politico, sociale, culturale e popolare che tenda al bene comune può "aprire la strada a opportunità differenti, che non implicano di fermare la creatività umana e il suo sogno di progresso, ma piuttosto di incanalare tale energia in modo nuovo.
Il relativismo non è la soluzione. Sotto il velo di una presunta tolleranza, finisce per favorire il fatto che i valori morali siano interpretati dai potenti secondo le convenienze del momento. Se in definitiva "non ci sono verità oggettive né principi stabili, al di fuori della soddisfazione delle proprie aspirazioni e delle necessità immediate, (...) non possiamo pensare che i programmi politici o la forza della legge basteranno. (...) Quando è la cultura che si corrompe e non si riconosce più alcuna verità oggettiva o principi universalmente validi, le leggi verranno intese solo come imposizioni arbitrarie e come ostacoli da evitare".
Occorre esercitarsi a smascherare le varie modalità di manipolazione, deformazione e occultamento della verità negli ambiti pubblici e privati. Ciò che chiamiamo verità non è solo la comunicazione di fatti operata dal giornalismo. E' innanzitutto la ricerca dei fondamenti più solidi che stanno alla base delle nostre scelte e delle nostre leggi. Questo implica accettare che l'intelligenza umana può andare oltre le convenienze del momento e cogliere alcune verità che non mutano, che erano verità prima di noi e lo saranno sempre. Indagando sulla natura umana, la ragione scopre valori che sono universali, perché da essa derivano.
Diversamente, non potrebbe forse succedere che i diritti umani fondamentali, oggi considerati insormontabili, vengano negati dai potenti di turno, dopo aver ottenuto il "consenso" di una popolazione addormentata e impaurita? E nemmeno sarebbe sufficiente un mero consenso fra i vari popoli, ugualmente manipolabile. Già abbiamo in abbondanza prove di tutto il bene che siamo capaci di compiere, però, al tempo stesso, dobbiamo riconoscere la capacità di distruzione che c'è in noi. L'individualismo indifferente e spietato in cui siamo caduti non è anche il risultato della pigrizia nel ricercare i valori più alti, che vadano al di là dei bisogni momentanei? Al relativismo si somma il rischio che il potente o il più abile riesca a imporre una presunta verità. Invece, "di fronte alle norme morali che proibiscono il male intrinseco non ci sono privilegi né eccezioni per nessuno. Essere il padrone del mondo o l'ultimo "miserabile" sulla faccia della terra non fa alcuna differenza: davanti alle esigenze morali siamo tutti assolutamente uguali".
Quello che oggi ci accade, trascinandoci in una logica perversa e vuota, è che si verifica un'assimilazione dell'etica e della politica alla fisica. Non esistono il bene e il male in sé, ma solamente un calcolo di vantaggi e svantaggi. Lo spostamento della ragione morale ha per conseguenza che il diritto non può riferirsi a una concezione fondamentale di giustizia, ma piuttosto diventa uno specchio delle idee dominanti. Entriamo qui in una degenerazione: un andare" livellando verso il basso" mediante un consenso superficiale e compromissorio. Così, in definitiva, la logica della forza trionfa.
(dall'enciclica "Fratelli tutti" di Papa Francesco)