Per una giustizia globale (ottava parte)

27.05.2020

Pochissimi di coloro che criticano le istituzioni internazionali (e pochissimi tra coloro che lavorano per loro) sembrano avere idea di come sono nate e di come abbiano assunto la forma attuale. La conseguenza, almeno in parte, è che il dibattito è stato caratterizzato da una profonda ignoranza. Nulla fornisce un esempio migliore di questa ignoranza dei malintesi predominanti sulle origini della Banca mondiale e del Fondo monetario internazionale. A quanto pare tutti credono che siano state fondate dal celebre economista liberale John Maynard Keynes. Nel pamphlet in cui attacca il movimento per la giustizia globale il giornalista John Lloyd sostiene che Keynes è stato "il teorico più importante tra quelli che hanno portato alla creazione degli enti internazionali". Persino il grande Joe Stiglitz descrive Keynes come "il padrino intellettuale dell'FMI" e lascia intendere che "si rivolterebbe nella tomba se vedesse cosa ne è stato della sua creatura". La realtà è che il povero Lord Keynes si rivolterebbe nella tomba se sapesse di un tale travisamento storico. L'accordo che portò all'istituzione dell'FMI e della Banca mondiale fu raggiunto nel 1944 in un albergo a fianco di una stazione ferroviaria abbandonata chiamata Bretton Woods nel New Hampshire, Stati Uniti. Oggi gli accordi di Bretton Woods vengono intesi come la soluzione del mondo ricco ai problemi del mondo povero ma il loro tema principale era la ricostruzione dell'Europa dopo la guerra. Di fatto, la nazione debitrice che presentava i problemi più urgenti nella bilancia dei pagamenti non era il Mozambico, la Tanzania o l'Indonesia bensì la Gran Bretagna. La conferenza fu, in sostanza, una battaglia tra due uomini eccezionali. Uno di loro era Harry Dexter White, leader della delegazione USA incaricata delle trattative, ingegnoso politico nonché negoziatore esperto e spietato, le cui idee erano diventate predominanti nella strategia del Tesoro statunitense. L'altro era il leader della delegazione britannica, John Maynard Keynes, quasi universalmente riconosciuto come il più grande economista dei suoi tempi. Gli Stati Uniti erano allora, al pari di oggi, la potenza economica che dominava il mondo. La Gran Bretagna, soprattutto a causa della guerra, era una nazione fortemente indebitata cui era toccato in sorte un genio dell'economia incaricato di tentare il salvataggio della nazione. Ciò che egli concepì, benchè lo si sia compreso con notevole ritardo, fu un sistema che non avrebbe potuto essere progettato meglio, anche confrontato con i problemi ancora più gravi che oggi le nazioni povere si trovano davanti. Keynes capì che le nazioni debitrici possono fare poco per incidere sulla bilancia commerciale: possono ridurre il valore della moneta, nella speranza di rendere più attraenti le esportazioni, ma la sola conseguenza è che il valore delle esportazioni cala in proporzione all'aumento del loro volume. Egli comprese che questo problema è aggravato da altri due fattori. In primo luogo una nazione fortemente indebitata deve spendere gran parte del denaro che possiede per ripagare i propri debiti pertanto la somma a disposizione per gli investimenti nei settori che potrebbero produrre esportazione è minore, col risultato che il deficit commerciale è verosimilmente destinato a crescere con l'aumento del debito. In secondo luogo, il denaro spostato per il mondo dagli speculatori finanziari ha la tendenza ad abbondonare le nazioni che si trovano economicamente nei guai per introdursi in quelle che stanno prosperando, il che significa che le nazioni debitrici hanno sempre meno da investire per produrre merci da esportare al contrario di quelle creditrici. I paesi appartenenti ai due gruppi, quindi, sono bloccati nelle rispettive posizioni economiche. Keynes arrivò all'ovvia conclusione che non è possibile incidere in modo sostanziale sui rapporti commerciali tra le nazioni a meno che i creditori e i debitori non siano costretti a cambiarli. La soluzione che propose era un sistema ingegnoso con cui persuadere le nazioni creditrici a spendere il proprio surplus nelle economie delle nazioni debitrici: suggerì la costituzione di una banca globale che chiamò Unione per la compensazione internazionale. Il sistema progettato impediva la messa in moto del circolo vizioso: le nazioni in deficit sarebbero state riportate all'equilibrio e altrettanto sarebbe accaduto alle nazioni in surplus. Al posto di una situazione in cui i debiti temporanei si traducono in debiti permanenti e i debiti di piccola entità si trasformano in debiti enormi, crediti e debiti si sarebbero annullati reciprocamente al termine di ogni anno. Le reazioni a questa proposta, dentro e fuori la Gran Bretagna, furono entusiaste. Gli economisti di tutte le nazioni cominciarono a capire che Keynes aveva colpito nel segno: aveva, per la prima volta nella Storia, concepito un sistema distributivo che aumentava la prosperità generale livellando contemporaneamente il potere delle nazioni. Il contributo alla pace e all'equilibrio del potere apportato dal suo sistema avrebbe potuto dimostrarsi altrettanto decisivo del contributo alla bilancia commerciale. Durante la preparazione degli alleati alla conferenza di Bretton Woods la Gran Bretagna adottò la posizione di Keynes come posizione ufficiale da tenersi durante il negoziato. La nazione in cui questo progetto venne accolto con minore entusiasmo furono gli Stati Uniti: gli USA, a quei tempi, erano il maggior creditore mondiale ed erano determinati a rimanere tali. La guerra aveva incrementato enormemente le loro esportazioni e il paese temeva che, senza una politica commerciale aggressiva, la pace avrebbe potuto portare alla recessione. Dexter White escluse la possibilità che alle nazioni in surplus venisse richiesto di alterare i rapporti commerciali e gli altri stati, come fece notare lo stesso Keynes, pur essendo " prevalentemente a favore dell'Unione per la compensazione" erano "estremamente timorose di opporsi agli USA". La Gran Bretagna stessa aveva con gli USA un rapporto estremamente impari poiché era diventata dipendente dall'aiuto della loro economia per poter vincere la guerra. Già nell'estate del '43 parve evidente che alla soluzione proposta da Keynes non sarebbe stato concesso di prevalere e lui stesso capì che il meglio che poteva fare era cercare di modificare il piano concorrente. Riuscì a ottenere il ruolo di presidente della conferenza e questa è probabilmente la ragione per la quale gli viene così spesso attribuita, a torto, la paternità degli enti creati a Bretton Woods. Alla fine, benchè sapesse che gli accordi non avrebbero risolto i problemi di fondo, li firmò perché era altrettanto consapevole che un sistema basato su delle regole, ancorchè sbagliate, è meglio di un sistema totalmente privo di regole. Tornato in patria Keynes, pur cercando di difendere davanti al proprio popolo le conclusioni della conferenza fu costretto ad ammettere che alcuni degli indirizzi concordati a Bretton Woods "potrebbero essere assai dissennati e distruttivi per il commercio internazionale".

                                                                                                                               George Monbiot (2003)

                                                                                                                             (fine ottava parte)

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