Per una giustizia globale (prima parte)
Nel corso della Storia gli esseri umani hanno coltivato il senso di appartenenza a una comunità ristretta. Hanno sempre saputo, quasi per istinto, chi sta fuori e chi sta dentro. Chi si trova oltre il confine è meno umano di chi ne è all'interno. Implacabile, l'unità di misura dell'identità si è allargata dalla famiglia al branco, al clan, alla tribù, alla nazione. In ogni caso, il conflitto tra gruppi più piccoli si è composto solo per dar inizio a una battaglia comune contro un'altra federazione nuova. Il nostro senso di appartenenza ha fatto sì che fosse facile manipolarci. Nella Prima guerra mondiale qualche decina di aristocratici mandò a morire otto milioni di uomini in nome dell'indipendenza nazionale. Gli interessi degli eserciti che si fronteggiavano erano identici. Invece di combattersi i soldati di quegli eserciti avrebbero tratto più giovamento dalla destituzione dei generali e dall'annientamento della classe che aveva dato avvio alla guerra ma l'identità nazionale ebbe la meglio sull'interesse di classe. In futuro saremo costretti ad abbandonare l'identità nazionale così come, in epoche precedenti, abbiamo abbandonato la baronia e il clan. Saremo obbligati ad ammettere l'irrazionalità delle appartenenze che ci separano. Per la prima volta nella Storia ci considereremo una specie. La maggior parte di noi sta arrivando alla conclusione che, se proponiamo soluzioni che possono essere attuate solo a livello locale o nazionale, ci precludiamo la possibilità di ricoprire un ruolo significativo proprio nella risoluzione dei problemi che più ci stanno a cuore. Temi quali il cambiamento del clima, il debito internazionale, la proliferazione nucleare, la guerra, la pace e la bilancia commerciale tra le nazioni possono essere affrontati solo a livello globale o internazionale. Senza provvedimenti e istituzioni globali è impossibile immaginare come si possa distribuire la ricchezza delle nazioni opulente a quelle povere, tassare i ricchi, così mobili, e il loro denaro ancora più mobile, controllare lo smaltimento dei rifiuti tossici, far rispettare la messa al bando delle mine antiuomo, impedire l'uso delle armi nucleari o che gli stati potenti costringano i più deboli a commerciare alle loro condizioni. Se agissimo solo a livello locale finiremmo per lasciare ad altri il compito di affrontare questi temi, i più decisivi. Una governance globale ci sarà, con o senza la nostra partecipazione. Per la verità deve esserci se non vogliamo che i temi che ci interessano vengano definiti con la forza bruta dai potenti. Che le istituzioni internazionali siano state progettate o conquistate dalla dittatura di chi ha interessi acquisiti non è un'argomentazione contraria alla loro esistenza ma una ragione per rovesciarle e sostituirle con le nostre. E' un'argomentazione a favore di un sistema politico globale che obblighi il potere a rendere conto del proprio operato. In assenza di una politica globale efficace, inoltre, le soluzioni locali saranno sempre insidiate da comunanze di interessi che contrastano con le nostre idee. Potremmo riuscire, per esempio, a persuadere gli abitanti della strada in cui viviamo a rinunciare all'automobile nella speranza di contrastare i cambiamenti climatici ma, a meno che tutti in tutte le comunità non condividano la nostra politica o siano vincolati dalle stesse leggi, avremo semplicemente concesso alle comunità vicine un nuovo spazio stradale in cui espandersi. Potremmo dichiarare il nostro quartiere "denuclearizzato" ma, almeno che non si lavori contemporaneamente a livello internazionale per la rinuncia alle armi nucleari, non potremo far nulla per non essere minacciati, noi e chiunque altro, da persone non altrettanto garbate. Riformulando la politica globale creiamo lo spazio politico in cui possono prosperare le alternative locali. Se, al contrario, lasciamo ad altri il controllo delle indispensabili istituzioni globali, ebbene quelle istituzioni demoliranno a una a una le soluzioni che abbiamo adottato in ambito locale, e persino nazionale. Ha poco senso mettere a punto una politica economica alternativa per la propria nazione se prima il Fondo monetario internazionale e gli speculatori finanziari non sono stati resi inoffensivi. Ha poco senso lottare per proteggere una barriera corallina dall'inquinamento locale se nulla è stato fatto per impedire che i cambiamenti climatici distruggano le condizioni necessarie alla sua sopravvivenza.
George Monbiot (2003)
(fine prima parte)