Per una giustizia globale (quinta parte)
L'impatto prodotto dal suo libro è stato tale che sarebbe
forse il caso di suddividere in due periodi la percezione pubblica del
movimento per la giustizia globale: prima e dopo Stiglitz. Prima che Joseph
Stiglitz, ex chief economist della Banca mondiale e direttore del Consiglio dei
consulenti economici del presidente USA (e in seguito insignito del premio
Nobel), pubblicasse quanto aveva scoperto durante il suo periodo di permanenza
in carica, le proteste del movimento venivano regolarmente respinte dagli
esperti e dai politici del mondo ricco. Dopo Stiglitz persino alcuni
fondamentalisti del mercato sono stati costretti ad ammettere che le nostre
analisi erano, sotto un certo aspetto, corrette. L'obiettivo che si pone l'FMI
è mantenere la stabilità economica globale aiutando i paesi che hanno problemi
con la bilancia dei pagamenti, rendendo stabili i tassi di cambio e promuovendo
la crescita economica, l'occupazione e i redditi dei lavoratori. L'espletamento
di queste funzioni impedirebbe alle difficoltà economiche che una nazione si
trova ad affrontare di contagiare altre nazioni, provocando una crisi globale
simile a quella che determinò i presupposti della Seconda guerra mondiale.
L'FMI, spiega Stiglitz, negli ultimi anni ha fatto l'esatto contrario. Imponendo scelte politiche volte a favorire
le banche private e gli speculatori finanziari del mondo ricco, invece che le
economie in difficoltà, ha destabilizzato i tassi di cambio, esacerbato i
problemi della bilancia dei pagamenti, costretto i paesi al debito e alla
recessione e distrutto i posti di lavoro e i redditi di decine di milioni di
lavoratori. I programmi dell' FMI, spiega Stiglitz, riflettono "gli interessi e
l'ideologia della comunità finanziaria occidentale". Vengono imposti alle
nazioni più deboli senza tener conto della loro situazione: ogni paese a cui il
Fondo dà ordini deve anteporre il controllo dell'inflazione agli altri
obiettivi economici, eliminare immediatamente le barriere commerciali e
consentire il flusso dei capitali, liberalizzare il sistema bancario, ridurre
la spesa statale su qualsiasi voce che non sia la restituzione del debito e
privatizzare le attività produttive che possono essere vendute agli investitori
stranieri. Casualmente queste sono proprio le scelte politiche che convengono
agli speculatori finanziari mondiali. "In un certo senso" scrive Stiglitz "è
l'FMI a consentire agli speculatori di rimanere in affari". Le nazioni più
deboli, sapendo che l'FMI può interrompere l'erogazione dei propri fondi e
consigliare alle banche private di adottare la stessa iniziativa, "hanno paura
di esprimere apertamente il loro dissenso". Il Fondo "soffoca di fatto
qualsiasi dibattito all'interno del governo cliente (e a maggior ragione un
dibattito più esteso all'interno del paese) sulle possibili politiche
economiche alternative". I cittadini dei paesi di cui Stiglitz ha studiato i
programmi dettati dall'FMI "sono stati esclusi dal dibattito che precede gli
accordi e non sono stati nemmeno informati della natura degli stessi".
George Monbiot (2003)
(fine quinta parte)