Per una giustizia globale (quinta parte)

24.05.2020

L'impatto prodotto dal suo libro è stato tale che sarebbe forse il caso di suddividere in due periodi la percezione pubblica del movimento per la giustizia globale: prima e dopo Stiglitz. Prima che Joseph Stiglitz, ex chief economist della Banca mondiale e direttore del Consiglio dei consulenti economici del presidente USA (e in seguito insignito del premio Nobel), pubblicasse quanto aveva scoperto durante il suo periodo di permanenza in carica, le proteste del movimento venivano regolarmente respinte dagli esperti e dai politici del mondo ricco. Dopo Stiglitz persino alcuni fondamentalisti del mercato sono stati costretti ad ammettere che le nostre analisi erano, sotto un certo aspetto, corrette. L'obiettivo che si pone l'FMI è mantenere la stabilità economica globale aiutando i paesi che hanno problemi con la bilancia dei pagamenti, rendendo stabili i tassi di cambio e promuovendo la crescita economica, l'occupazione e i redditi dei lavoratori. L'espletamento di queste funzioni impedirebbe alle difficoltà economiche che una nazione si trova ad affrontare di contagiare altre nazioni, provocando una crisi globale simile a quella che determinò i presupposti della Seconda guerra mondiale. L'FMI, spiega Stiglitz, negli ultimi anni ha fatto l'esatto contrario. Imponendo scelte politiche volte a favorire le banche private e gli speculatori finanziari del mondo ricco, invece che le economie in difficoltà, ha destabilizzato i tassi di cambio, esacerbato i problemi della bilancia dei pagamenti, costretto i paesi al debito e alla recessione e distrutto i posti di lavoro e i redditi di decine di milioni di lavoratori. I programmi dell' FMI, spiega Stiglitz, riflettono "gli interessi e l'ideologia della comunità finanziaria occidentale". Vengono imposti alle nazioni più deboli senza tener conto della loro situazione: ogni paese a cui il Fondo dà ordini deve anteporre il controllo dell'inflazione agli altri obiettivi economici, eliminare immediatamente le barriere commerciali e consentire il flusso dei capitali, liberalizzare il sistema bancario, ridurre la spesa statale su qualsiasi voce che non sia la restituzione del debito e privatizzare le attività produttive che possono essere vendute agli investitori stranieri. Casualmente queste sono proprio le scelte politiche che convengono agli speculatori finanziari mondiali. "In un certo senso" scrive Stiglitz "è l'FMI a consentire agli speculatori di rimanere in affari". Le nazioni più deboli, sapendo che l'FMI può interrompere l'erogazione dei propri fondi e consigliare alle banche private di adottare la stessa iniziativa, "hanno paura di esprimere apertamente il loro dissenso". Il Fondo "soffoca di fatto qualsiasi dibattito all'interno del governo cliente (e a maggior ragione un dibattito più esteso all'interno del paese) sulle possibili politiche economiche alternative". I cittadini dei paesi di cui Stiglitz ha studiato i programmi dettati dall'FMI "sono stati esclusi dal dibattito che precede gli accordi e non sono stati nemmeno informati della natura degli stessi".

                                                                                                                         George Monbiot (2003)

                                                                                                                     (fine quinta parte)

Gianni Vannini - Blog politico
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