Per una giustizia globale (settima parte)

26.05.2020

Lo scopo originario della Banca mondiale era concedere prestiti a lungo termine alle nazioni le cui economie erano state devastate dalla Seconda guerra mondiale. Si trattava di un ruolo utile e importante, e durante i primi anni della sua esistenza l'operato della Banca fu senz'altro soprattutto positivo. Ma il suo mandato ha continuato ad espandersi, pur senza l'assenso dei paesi su cui interviene. Tra gli altri compiti che si è assegnata c'è l'attuazione di "progetti di sviluppo" per la costruzione di dighe o l'impianto di colture commerciali, la concessione di "prestiti di adeguamento strutturale", volti ad aiutare i paesi nella restituzione dei loro debiti, e la concessione di garanzie sui prestiti alle imprese, molte delle quali hanno la loro sede nel mondo ricco. Come le sue responsabilità si sono ampliate e le domande del mondo ricco sono diventate più pressanti, il suo impatto distruttivo ha finito per avere più peso dell'opera positiva che essa svolge. La Banca mondiale è diventata una delle cause principali della povertà, della distruzione ambientale e del debito del mondo povero. I prestiti della Banca dovrebbero aiutare un paese a pagare i suoi debiti, ristrutturandone contemporaneamente l'economia in modo da dissuadere lo stato dallo sperpero e attrarre gli investitori. Per ricevere gli aiuti un governo deve acconsentire a certe "condizionalità". Tali condizionalità, che spesso comportano una riduzione massiccia della spesa statale per i servizi pubblici, la vendita di beni pubblici, la privatizzazione delle scorte alimentari nonché la riduzione dei posti di lavoro, rappresentano un capovolgimento totale degli obiettivi originari della Banca: migliorare i servizi pubblici, ridurre la fame e aumentare il numero degli occupati. Sono misure indirettamente responsabili di centinaia di migliaia di morti. Le nazioni indebitate sono state costrette a ridurre la spesa pubblica per la sanità e l'istruzione. In molti dei paesi in cui sono intervenuti la Banca mondiale e l'FMI oggi la popolazione deve pagare per ottenere questi servizi. Le conseguenze sono catastrofiche: in Kenya, per esempio, che è uno dei paesi più colpiti dall'AIDS, il numero di donne che cerca aiuto o consigli sulle malattie trasmesse sessualmente è diminuito del 65 per cento in seguito all'introduzione di un ticket. In Ghana le nuove tasse scolastiche hanno costretto due terzi delle famiglie rurali a smettere di mandare i figli a scuola. I tagli alla spesa sanitaria a cui la Banca e l'FMI hanno costretto lo Zambia hanno contribuito all'incremento della mortalità infantile, che è passata dai 97 morti su mille del 1980 ai 202 del 1999. Nel mondo povero si ride a denti stretti all'idea che tra le condizionalità imposte dall'FMI e dalla Banca ci sono il "buon governo" e la "democratizzazione". Il modo in cui le due istituzioni governano le economie delle nazioni povere potrebbe difficilmente essere più dannoso. Alle nazioni che controllano, e di cui pretendono di favorire la "democratizzazione", consentono di scegliere una sola strategia politica ed economica: il fondamentalismo del mercato. Lo impongono con uno zelo che, a volte, arriva ad apparire totalitario. Ci sono, però, due sistemi di regole: uno per i ricchi e uno per i poveri. Mentre le nazioni povere sono costrette a impoverirsi per pagare i debiti, il maggior debitore del mondo, gli Stati Uniti, è lasciato libero di agire come vuole: non deve subire alcun programma di austerità imposto dall'esterno, nessun controllo dell'inflazione e nessuna liberalizzazione forzata. Di fatto, una delle ragioni per cui l'indebitamento dell'America non ha avuto come conseguenza il crollo della sua economia, è l'insistenza dell'FMI e della Banca mondiale nel mantenere le risorse in valuta estera, che le altre nazioni detengono per difendersi dagli attacchi speculativi, sotto forma di dollari. Ciò rafforza la posizione del dollaro come moneta internazionale dominante e ne aumenta artificialmente il valore. Quindi non solo l'FMI e la Banca mondiale contribuiscono alla distruzione delle economie delle nazioni più deboli ma contribuiscono anche a sostenere il dominio economico, e quindi l'egemonia politica, degli Stati Uniti. Nel corso degli anni ci sono state decine di proposte per riformare questi due enti, redistribuendone i voti e cambiandone lo statuto. Ciò che tutte queste proposte tralasciano, con una noncuranza che deve talvolta essere intenzionale, è che il diritto di veto che gli USA esercitano sulle decisioni più importanti è anche un veto costituzionale: niente può cambiare se loro non acconsentono al cambiamento.

                                                                                                                                 George Monbiot (2003)

                                                                                                                            (fine settima parte)

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