Per una giustizia globale (ultima parte)
Anche
se riuscissimo a dar vita a un sistema che consentisse la redistribuzione della
ricchezza tra le nazioni il nostro progetto lascerebbe irrisolti, o
affronterebbe solo incidentalmente, alcuni dei problemi cruciali che
preoccupano il movimento per la giustizia globale. I più evidenti sono le
condizioni lavorative, la distruzione ambientale e il potere smodato delle
imprese. Al momento il commercio internazionale è contraddistinto da diversi
aspetti ignobili e sgradevoli. Come abbiamo visto ha portato a una competizione
distruttiva tra le nazioni che cercano di accaparrarsi gli investimenti
stranieri. Le imprese che desiderano investire all'estero sono alla ricerca
delle condizioni più vantaggiose possibili: bassi salari; nessun obbligo di
pagare contributi per le pensioni, assicurazioni sanitarie o altre indennità;
bassi standard per ciò che riguarda l'ambiente, la sicurezza e la salute; poche
tasse e pochissime regole che impediscano loro di ricavare più denaro possibile
lasciando dietro di sé qualsiasi sconvolgimento decidano di provocare. Con una
combinazione della loro forza finanziaria e del potere politico delle nazioni
da cui provengono queste aziende sono riuscite spesso ad avere la meglio sulla
volontà democratica delle nazioni nelle quali investono. Il trasporto
internazionale sta contribuendo massicciamente ai cambiamenti climatici mentre
l'industria estrattiva ha distrutto interi ecosistemi e scacciato contadini e
popolazioni indigene. Tutti coloro che hanno facoltà di agire sono messi di
fronte a una scelta: possiamo servirci di questa facoltà per assicurarci
un'esistenza comoda e sicura; possiamo usare la nostra vita per guadagnare un
po' di più, risparmiare un po' di più, ottenere l'approvazione dei capi e
l'invidia dei vicini; possiamo, molto razionalmente, subordinare il desiderio
di libertà al desiderio di sicurezza; oppure possiamo usare la nostra facoltà
di agire per cambiare il mondo e cambiare noi stessi. La libertà è la capacità
di agire in base a ciò in cui si crede: se sappiamo che non agiremo mai non
abbiamo libertà ma faremo solo ciò che ci viene detto di fare. Quasi tutti
hanno la pur vaga sensazione che gli altri dovrebbero essere trattati come essi
stessi desiderano essere trattati. Quasi tutti, quindi, hanno un'idea di
giustizia ma se non agiamo a partire da quel senso di giustizia rinunciamo a
usare la nostra libertà. In altre parole, per essere davvero liberi, dobbiamo
essere disposti a considerare possibile la rivoluzione. Un'altra ragione che
spiega la nostra inazione è che sin dalla nascita siamo immersi in una
determinata situazione politica e, di conseguenza, non riusciamo ad immaginare
una via d'uscita: ecco perché l'immaginazione è il primo requisito del
rivoluzionario. Ciò che conserva il potere coercitivo non è la forza delle
armi, e neppure il capitale, ma la convinzione: quando la gente smette di
credere nel potere, nella sua onnipotenza, nella sua solidità e
nell'impossibilità di affrontarlo e agisce a partire da questa convinzione un
impero può crollare quasi dalla sera alla mattina. Nella maggior parte delle
nazioni democratiche i cittadini si stanno allontanando dal processo politico.
La politica tradizionale è diventata, soprattutto per i giovani, noiosa e
alienante dal momento che molti percepiscono, a ragione, che si è ridotta a una
questione manageriale e che i diversi partiti, nella maggior parte delle
nazioni, sono caduti in mano a una classe di persone a cui sono le imprese e i
mercati finanziari a permettere di governare e che hanno scopi e prospettive
pressochè identici. Non c'è sfogo per la passione: la globalizzazione ha
aumentato la complessità dei temi politici e, spostandone la risoluzione a
livelli in cui non c'è alcun controllo democratico, ha aggravato il senso di
impotenza delle persone. Il movimento per la giustizia globale è diventato, per
molti estraniati dalla politica nazionale, un movimento di emancipazione. Essi
hanno scoperto che la potenzialità dell'impegno politico non è scomparsa ma si
è spostata in un altro ambito. Questo movimento si può trasformare in una forza
così numerosa ed efficace da diventare irresistibile. Le istituzioni non
possono riformare se stesse e i governi non agiranno in nostro favore se non li
costringiamo a farlo. Il cambiamento dipende dalla nostra disponibilità ad abbandonare
l'attaccamento al vecchio mondo e a
cominciare a pensare come cittadini del nuovo, rinunciando alla sicurezza in cambio della libertà: dipende solo da noi.
George Monbiot (2003)
(fine)