Sine cura
La parola "sicurezza" discende da un passo di Tacito, meraviglioso e terribile, quello in cui nelle sue "Historiae" descrive il popolo di Roma di fronte alla terrificante guerra civile scoppiata tra Vitelliani e Flaviani nel 69 d.C. La capitale era teatro di scontri violentissimi, almeno 50.000 erano già i morti, ogni strada era macchiata di sangue e i cadaveri erano ammassati ovunque. Eppure la folla non sospendeva le gozzoviglie dei Saturnali in quel momento in corso, non inorridiva davanti alla violenza e tanto meno cercava di arginarla, ma prendeva parte ora per uno ora per l'altro esercito, a seconda di chi vinceva una rissa in un dato momento, attendendo l'attimo buono anche per arraffare i beni depredati che i soldati non avevano modo di recuperare mentre morivano o uccidevano. La città cadeva, i suoi antichi "mores", i costumi ancestrali e sacri, insieme alle persone, mentre la gente partecipava tra le macerie come a uno spettacolo del circo, immersa in una indifferenza non umana di fronte al dolore e al disastro; un'indifferenza che, allo storico latino, appariva come il riflesso del degrado morale di un popolo ridotto a massa acritica da anni di politiche demagogiche. Sicurezza discende dal termine latino "securitas", composto dalla particella "sine", che indica assenza, mancanza, e dal sostantivo "cura". In questo senso "disumana indifferenza" è la traduzione più corretta della "inhumana securitas" drammaticamente descritta da Tacito. "Securitas", quindi, come mancanza di ogni cura e come attitudine così disumana da sconfinare nella ferocia, fondata sull'assenza di ogni discernimento di bene o di male, capace di trascinare con sé ogni senso di responsabilità collettiva o individuale. Da quale corda dell'animo umano discende questo tipo di propensione? Mentre allontano da me queste divagazioni, penso che vorrei potessero vederci, tutti questi spettatori efferati, essere qui con noi, conoscerci davvero, vivere almeno un giorno con "Mediterranea". Poi penso che non servirebbe a nulla. Come non servono a nulla i dati oggettivi, le storie vere delle persone, le argomentazioni ragionevoli. Come scriveva Norberto Bobbio, il filosofo del diritto che mi ha fatto pensare per la prima volta di volere fare il suo stesso mestiere, il pregiudizio non è un'opinione sbagliata che si può modificare con la ragione. Perché risponde esattamente a ciò che le persone che ne sono preda vogliono sentire. Nello stomaco, non con il cervello. E allora le parole, la verità, l'evidenza, sono sempre armi spuntate, non servono a nulla.
Alessandra Sciurba