The Green New Deal (ultima parte)
Gli
ultimi 40 anni della storia economica sono stati una lunga sequenza di attacchi
sistematici alla sfera pubblica, di disfacimento degli organismi regolatori, di
abbassamento delle tasse per i ricchi e di svendita dei servizi essenziali al
settore privato. Nel frattempo i sindacati hanno visto la clamorosa erosione
del proprio peso e la popolazione è stata addestrata all'impotenza: non importa
quanto è grosso il problema, ci dicevano, è meglio lasciarlo al mercato o ai
capitalisti filantropi miliardari, smettere di cercare di risolvere i problemi
alla radice. E' per questo, tutto sommato, che i precedenti storici dagli anni
Trenta ai Cinquanta del Novecento sono ancora utili. Ci ricordano che è sempre
possibile un'altra strategia al cospetto di una crisi profonda. Di fronte alle
emergenze collettive che costellarono quei decenni la risposta fu quella di
mobilitare intere società per attuare profonde transizioni con un chiaro
obiettivo comune. Adesso, mentre insistiamo a chiamare emergenza un'emergenza,
dobbiamo anche stare attenti ad evitare che lo stato d'emergenza non diventi
uno stato d'eccezione nel quale potenti interessi sfruttano il panico della
gente per imporre lucrose false soluzioni e far ulteriormente arretrare diritti
conquistati a caro prezzo. Un monito che sarebbe saggio ricordare è che, quando
si crea un vuoto politico e ideologico come oggi, non sono solo le idee
umanitarie e piene di speranza come quelle del Green New Deal a venire a galla.
Emergono anche quelle intrise di violenza e odio. Il collasso ecologico è stato
una delle forze che sembrano nutrire tale odio e tale violenza e continuerà a
nutrirli se non ci dimostriamo all'altezza delle nostre responsabilità, se non
succede qualcosa di significativo in grado di fronteggiare la crisi climatica.
Basta saper fare i conti: è una crisi creata in netta prevalenza dagli strati
più ricchi della popolazione e quasi il 50 per cento delle emissioni globali è
prodotto dal 10 per cento più ricco. Però gli effetti di queste emissioni
colpiscono prima e con maggior forza i più poveri, costringendone un numero
crescente a spostarsi: uno studio del 2018 della Banca mondiale valuta che,
entro il 2050, più di 140 milioni di
persone dell'Africa subsahariana, dell'Asia del sud e dell'America Latina saranno
sfrattati dagli stress climatici e cercheranno altrove una vita migliore oppure
andranno ad affollare i ghetti delle metropoli del proprio paese. In qualsiasi
universo morale guidato dai principi dei diritti umani fondamentali alle
vittime di una crisi creata da altri va resa giustizia e giustizia esige che,
innanzitutto, il 10 per cento più ricco blocchi la causa di questa crisi
abbassando le emissioni con la massima rapidità. Giustizia esige anche che si
metta mano a un "Piano Marshall per la Terra" per far affluire risorse nel Sud
globale affinché le comunità possano resistere meglio ai fenomeni meteorologici
estremi, uscire dalla miseria con la tecnologia pulita e proteggere il più
possibile la propria vita. E quando non ci si può proteggere, quando la terra è
troppo arida per le coltivazioni e quando i mari salgono troppo alla svelta per
fermarli, allora giustizia esige che ammettiamo senza riserve che qualsiasi
persona ha il diritto umano di spostarsi e chiedere protezione. Significa che
dobbiamo dar loro asilo e status di rifugiato all'arrivo. Se devo essere
sincera, così sballottati tra tante perdite e sofferenze, avrebbero diritto a
molto di più: alla gentilezza, a un risarcimento e alle nostre scuse sentite.
Detto altrimenti, la devastazione climatica impone di addentrarsi nel terreno
più odiato dalla mentalità conservatrice: la redistribuzione della ricchezza,
la condivisione delle ricchezze e i risarcimenti. E' necessario, dunque, un
distacco deciso dal fondamentalismo liberista che ha caratterizzato l'ultimo
cinquantennio e il messaggio che ci arriva dagli scioperi scolastici è che
tantissimi giovani sono pronti per questo cambiamento profondo. Essi sanno sin
troppo bene che i sogni di un infinito aumento del livello di vita hanno ceduto
il posto all'austerità rampante e all'insicurezza economica. Le tecnoutopie,
che immaginavano un futuro inebriante fatto di connessione e di comunità senza
limiti, si sono tramutate nella dipendenza dagli algoritmi dell'invidia, della
sorveglianza aziendale illimitata, della misoginia e del suprematismo bianco
online in grande ascesa. "Abbiamo bisogno di una nuova politica" afferma Greta
Thunberg " e di una nuova economia in cui tutto quanto sia basato sul rapido
calo delle emissioni. Ma non basta: ci serve un nuovo modo di pensare, dobbiamo
smettere di competere l'uno contro l'altro, dobbiamo iniziare a collaborare e a
condividere le risorse rimanenti di questo pianeta in modo equo". Perché la
nostra casa è in fiamme e non è certo una sorpresa ed è stata costruita su
false promesse e su persone sacrificabili perciò era destinata a
bruciare
sin dall'inizio. E' troppo tardi per salvare tutta la nostra roba però possiamo
ancora salvarci l'un l'altro: spegniamo le fiamme e costruiamo qualcosa di
diverso, qualcosa di meno arredato ma con spazio sufficiente per tutti quelli
che hanno bisogno di cura e riparo. Costruiamo un Green New Deal globale, e
questa volta per tutti quanti.
Naomi Klein (2019)
(fine)