Un fantasma si aggira....ed è l'Europa
L'ospitalità sembra sparita sia dal paesaggio contemporaneo
sia dal vocabolario della politica. La questione, come viene ripetuto
continuamente, si riduce al modo di "governare i flussi migratori". Il
respingimento dell'ospitalità, giudicata del tutto estranea e impossibile da
ammettere, fa sì che tutte le tensioni esplodano alle frontiere: tra sovranità
statuale e libertà individuale, tra diritto e giustizia, tra istituzione e
compassione, tra governance politica e imperativo etico. Le tensioni hanno sempre
accompagnato la pratica dell'ospitalità, antica quanto i primordi della civiltà
ma quelle che attraversano e scuotono la quotidianità politica di quest'epoca
hanno motivi peculiari. Anacronistico, fuori luogo, inopportuno, il gesto
dell'ospitalità appare assurdo per molti, che arrivano a stigmatizzarlo,
schernirlo, denunciarlo. E' il gesto delle anime belle, degli umanitari, di
quegli ingenui che ostentano benevolenza verso i migranti e pretendono di
offrire ospitalità a stranieri che dovrebbero piuttosto essere trattati come
nemici. Il gesto è tollerato tutt'al più nei margini ristretti della carità
religiosa o di quelli altrettanto circoscritti dell'impegno etico. In breve,
l'ospitalità è relegata a un ambito sovrapolitico o infrapolitico se non extrapolitico.
Dipende dai punti di vista. Resta comunque fuori dalla politica, che non può
certo governare affidandosi agli slanci del cuore, ai fervori della fede, agli
obblighi etici. Tutti coloro che, come le organizzazioni umanitarie, si fanno
carico dell'accoglienza sono perciò presi di mira, pagando il prezzo di questa
impasse che ha finito per provocare una diserzione dall'ospitalità. L'Europa, che prometteva di
diventare non solo l'inedito luogo comune di una riscoperta della politica ma
anche il laboratorio dove sperimentare nuove forme di cittadinanza, sganciata
dalla filiazione e dalla nascita, semplicemente non è stata tutto ciò. Quando è
stato il momento di mettere alla prova i diritti umani, accogliendo chi
chiedeva rifugio, la patria di quei diritti ha tradito sé stessa. Predizioni,
profezie, pronostici non si sono realizzati: l'elenco di quello che avrebbe
potuto essere e non è stato sarebbe molto lungo. Passando dal condizionale
all'indicativo presente si deve ammettere che l'Europa è diventata il nome di
un coacervo di nazioni, di un'assemblea scomposta di comproprietari che, a
colpi di trattati effimeri e compromessi vacillanti, si contendono lo spazio
per difendere ciascuno la propria pretesa identità. Nessun senso del comune,
nessun pensiero della comunità. Mentre si auspicava una nuova forma politica
postnazionale, che si muovesse già verso una Costituzione cosmopolitica, si è
rafforzato lo Stato-nazione che garantisce protezione dalle minacce esterne, a
cominciare dai migranti. A chi imputare questo stravolgimento? Non solo alla
burocrazia di Bruxelles, non solo ai governi che si sono succeduti ma anche ai
cittadini, lontani, passivi, indifferenti. Gli eventi dell'ultimo decennio,
soprattutto la grande crisi economico-finanziaria, hanno contribuito a far
naufragare ogni progetto d'ampio respiro. Al contrario di quel che credono i
sovranisti, il limite dell'Europa non è stato quello di aver messo in questione
la sovranità dei singoli Stati-nazione bensì di non essere riuscita a
scardinarla. L'Europa è rimasta ostaggio delle nazioni che, entro
un'istituzione svuotata, rivaleggiano in un perenne e vano contenzioso: nessun
tentativo, dunque, di inventare nuove forme politiche di comunanza e
coabitazione. La "crisi dei migranti" è la prova più eclatante di questo
fallimento: se il rifiuto dell'accoglienza è imputabile alle singole nazioni, a
cominciare dall'Ungheria, dalla Polonia, dalla Slovacchia, non si può non
riconoscere che l'Europa, nella sua sovranazionalità, non è stata in grado di
farsi rifugio, di aprirsi all'ospitalità. Eppure, almeno per una volta, avrebbe
potuto richiamarsi ai diritti umani e affermarli in contrapposizione alla
nazione.
Donatella Di Cesare (2017)