Una voce fuori dal coro

31.03.2020

La scrittrice francese Annie Ernaux ha scritto una lettera aperta al presidente Macron. Per chi non avesse avuto modo di leggerla vi propongo qui di seguito il testo integrale.

"Ti scrivo una lettera/ Che potresti leggere/ Se hai tempo". Per te che sei un appassionato di letteratura, questa introduzione probabilmente significa qualcosa. E' l'inizio della canzone "Il disertore" di Boris Vian, scritta nel 1954, tra la guerra dell'Indocina e quella d'Algeria. Oggi, qualunque cosa tu dica, non siamo in guerra, il nemico qui non è umano, non è il nostro prossimo, non ha nè il pensiero nè la voglia di fare del male, ignora i confini e le differenze sociali, si riproduce alla cieca saltando da un individuo all'altro. Le armi, poichè tieni a questo lessico bellico, sono i letti degli ospedali, i respiratori, le mascherine e i tamponi, sono il numero di medici, scienziati, operatori sanitari. Tuttavia, da quando guidi la Francia, sei rimasto sordo alle grida di allarme del mondo della sanità e ciò che leggevamo sullo striscione di una manifestazione dello scorso novembre: "Lo Stato conta gli spiccioli, conteremo i morti" suona oggi tragicamente profetico. Hai preferito ascoltare cololro che propugnano il disimpegno dello Stato, sostenendo l'ottimizzazione delle risorse, la regolazione dei flussi, tutto questo gergo privo di carne che annega il pesce della realtà. Ma guarda, sono i servizi pubblici che, al momento, assicurano per la maggior parte il funzionamento del paese: gli  ospedali, l'Istruzione pubblica e le sue migliaia di professori e di maestri così mal pagati, gli addetti all'energia, alle Poste, alla metropolitana e alle ferrovie. E quelli che, una volta, hai detto che non erano niente, ora sono tutto, quelli che continuano a svuotare la spazzatura, a passare allo scanner i prodotti nelle casse dei supermercati, a consegnare le pizze, a garantire questa vita altrettanto essenziale di quella intellettuale, la vita materiale. Scelta strana la parola "resilienza", visto che significa ricostruzione dopo un trauma. Non ci siamo ancora arrivati. Fai tesoro, Signor Presidente, dei risultati di questo periodo di isolamento forzato, di sconvolgimenti nel corso degli eventi. Questo è un buon momento per mettersi in discussione. Il momento per desiderare un mondo nuovo. Non il tuo, però! Non quello in cui i responsabili delle decisioni e delle finanze adottano spudoratamente il vecchio metodo di "lavorare di più", fino a 60 ore settimanali. Molti di noi non vogliono più un mondo in cui l'epidemia rivela disuguaglianze eclatanti. Molti, al contrario, vogliono un mondo in cui bisogni elementari, cibo sano, cure mediche, alloggio, istruzione, cultura, siano garantiti a tutti, un mondo del quale l'attuale solidarietà mostra, appunto, la possibilità. Sappi, Signor Presidente, che non ci lasceremo più rubare la nostra vita, abbiamo solo quella, e "niente vale la vita", come recita un'altra canzone, stavolta di Alain Souchon. Non lasceremo imbavagliare ancora per lungo tempo le nostre libertà democratiche, oggi ristrette, è quella libertà che consente alla mia lettera (a differenza di quella di Boris Vian, bandita dalla radio) di essere trasmessa questa mattina sulle onde di una radio nazionale.

Queste le parole di Annia Ernaux. Fa piacere che, almeno all'estero, un'intellettuale coraggiosa faccia sentire la sua voce, e non per ripetere vuoti appelli conformisti alla coesione nazionale ma per rivendicare il ruolo insostituibile della cultura e del libero pensiero.



Gianni Vannini - Blog politico
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