Un'occasione che stiamo perdendo

11.10.2020

I virus sono fra i tanti profughi della distruzione ambientale. Accanto a batteri, funghi, protozoi. Se riuscissimo a mettere da parte un po' di egocentrismo, ci accorgeremmo che non sono tanto i nuovi microbi a cercarci, ma noi a stanare loro. Il bisogno crescente di cibo induce milioni di persone a mangiare animali che sarebbe meglio lasciar stare. Nell'Africa occidentale, per esempio, sta aumentando il consumo di selvaggina a rischio, fra cui i pipistrelli, che in quella zona sono malauguratamente anche i serbatoi di Ebola. I contatti fra i pipistrelli e i gorilla, dai quali Ebola può passare facilmente all'uomo, sono resi più probabili dalla sovrabbondanza di frutti maturi sugli alberi, dovuta a sua volta all'alternanza sempre più violenta di piogge anomale e periodi asciutti, dovuta a sua volta al cambiamento climatico... Fa girare la testa. Una concatenazione micidiale di cause e di effetti. Ma le concatenazioni come questa, che sono moltissime, hanno bisogno di essere pensate urgentemente da sempre più persone. Perché al loro termine potremmo trovare una nuova pandemia, ancora più terribile di questa. E perché alla loro origine remota ci siamo sempre e comunque noi, con tutti i nostri comportamenti. Negli anni Ottanta andavano di moda i capelli vaporosi. Ogni giorno venivano spruzzati in aria ettolitri di lacca. Poi venne fuori che i clorofluorocarburi stavano aprendo un buco nell'ozonosfera, e che se non ci fossimo dati una regolata il sole ci avrebbe arrostiti. Tutti cambiarono pettinatura e l'umanità venne salvata. Quella volta siamo stati efficienti e cooperativi. Ma il buco dell'ozono era facile da immaginare, era un buco e tutti siamo in grado di visualizzare un buco. Quel che di essenziale ci viene richiesto di concepire oggi è invece molto più sfuggente. Ecco un paradosso di questo tempo: mentre la realtà diventa sempre più complessa, noi diventiamo sempre più refrattari alla complessità. Prendiamo il cambiamento climatico. Con l'aumento della temperatura terrestre c'entrano le politiche sul prezzo del petrolio e i nostri progetti per le vacanze, spegnere le luci in corridoio e la competizione economica tra Cina e Stati Uniti; c'entrano la carne che compriamo al mercato e il disboscamento selvaggio. Personale e globale s'intrecciano in maniera così enigmatica da lasciarci sfiniti prima ancora di tentare un ragionamento. Con le conseguenze è anche peggio: da una parte gli incendi in Amazzonia, dall'altra le piogge torrenziali in Indonesia; l'estate più calda del secolo ma anche l'inverno più freddo. Gli scienziati ci avvertono che forse non sopravviveremo, poi ci dicono che le nostre impressioni sull'afa non significano niente, perché un giorno non fa statistica e una persona che si lamenta tanto meno. L'unica certezza, alla fine, è che il nostro cervello non ci sembra abbastanza equipaggiato. Ma faremmo bene a equipaggiarlo in fretta. Fra le malattie che potrebbero beneficiare del climate change ci sono, oltre a Ebola, anche la malaria , la dengue, il colera, il morbo di Lyme, il virus del Nilo occidentale e persino la diarrea, che forse è un fastidio da poco qui da noi, ma è un pericolo molto serio altrove. Il mondo sta per farsela addosso. Il contagio è quindi un invito a pensare. Il tempo della quarantena è l'occasione per farlo. Pensare cosa? Che non siamo solo parte della comunità degli esseri umani. Siamo la specie più invadente di un fragile e superbo ecosistema.

Paolo Giordano

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